Si muore di oblio (non solo di caldo)

La vecchia lapide che ho fotografato nei pressi di casa mia è l’unico, sbiadito ricordo di uno dei tanti martiri dimenticati dell’avvento del fascismo in Emilia Romagna, la sua culla. Il 28 febbraio 1924 il candidato socialista alla Camera Antonio Piccinini venne attratto, “con vile inganno”, in un appartamento presso le case dei ferrovieri. Vi trovò i fascisti, che lo agguantarono e lo buttarono dalla finestra. Ma oggi nessuno lo ricorda, come viene ricordato Matteotti. A differenza dei morti della Resistenza, che vennero giustamente celebrati dopo la Liberazione, sui martiri dell’avvento del fascismo gravano vent’anni di oblio, la perdita dei propri cari, il silenzio opprimente della dittatura.

Così avviene purtroppo per tanti, troppi morti di lavoro. Alcuni diventano un caso mediatico, che scatena l’indignazione collettiva e che stimola la magistratura a fare il proprio lavoro, in tempi rapidi e talvolta con condanne esemplari. Ma per tanti, troppi, cala rapidamente il silenzio. E’ il caso di un operaio asfaltatore che il giorno 11 luglio 2023 a Lodi, nel primo pomeriggio e con 40 gradi, è morto di caldo. Inutilmente ho cercato il suo volto di martire, il suo nome, la sua storia in tutta la stampa. Ma tutti i quotidiani ripetevano che era un 44enne, era di Cinisello Balsamo, era improvvisamente caduto a terra. Non è un volto, è un numero e una statistica. Ogni Camera del Lavoro dovrebbe cominciare da lì. Da non dimenticare nessuno, da mettersi in contatto con la famiglia, di riportare in vita il suo volto e la sua memoria, e poi chiedere e ottenere giustizia. Ma la prima forma di giustizia è innanzitutto la consapevolezza che ogni numero è un volto, una vita spezzata, sogni e cuori infranti. Non mi stancherò mai di ripetere che per la Cgil la sicurezza è una guerra culturale e di valori, prima ancora che di legge e di avvocati. Solo così riusciremo a migliorare le cose.

Di caldo sul lavoro in ogni estate si muore, e si soffre più che in ogni parte del continente. Nella torrida estate del 2022 l’Italia conteggiò il triste primato europeo, con oltre 18,000 vittime. Di queste moltissime sono collassate sul posto di lavoro, anche se le caratteristiche degli eventi infortunistici rendono difficile una statistica chiara. Il colpo di calore è particolarmente infido, si manifesta improvvisamente, è letale nel 30% dei casi e la probabilità di incorrere in danni neurologici permanenti sfiora il 50 %. Ma può succedere che anche un banale, improvviso mancamento a causa del calo di pressione provochi la rovinosa caduta a terra, con conseguente frattura del cranio, oppure fratture gravi e invalidanti, oppure l’eccesso di caldo può causare un infarto miocardico. E se va tutto bene e il lavoratore arriva a fine turno, in molte aziende manifatturiere il calore atmosferico si somma a quello emesso dai macchinari, rendendo le otto ore di lavoro un’autentica tortura, spesso senza che sia adottato alcun provvedimento. Va da sé che un sindacato serio deve porsi l’obiettivo di fare lavorare senza soffrire, prima ancora di morire.

Diciamo subito chiaro e tondo che il caldo eccessivo sul prossimo lavoro è il classico problema che deve essere oggetto di contrattazione, prima ancora che di mera applicazione di normative vigenti. Dobbiamo ammettere che anche noi abbiamo negli anni vissuto la nostra evoluzione culturale in materia di igiene e sicurezza. Prima della ‘626’ non c’era praticamente nulla. Le morti bianche, molto più numerose, non erano oggetto della riprovazione sociale di oggi. Di loro si parlava sui giornali come di “tragiche fatalità”. Vi erano aziende di amianto in cui nel contratto integrativo i sindacati davano atto all’azienda della puntuale applicazione della normativa di igiene, salvo poi ritrovarsi qualche anno dopo di fronte ad una strage. Per un po’ di soldi in più sullo stipendio. Con l’avvento della 626 era opinione diffusa (soprattutto presso CISL e UIL, ma non mancava in CGIL) che essendoci una legge, andasse fatta applicare e basta, e che delle violazioni in materia si sarebbero occupati gli organismi di vigilanza. Non sempre la materia entrava nei capitoli delle piattaforme della contrattazione integrativa. Oggi invece sappiamo tutti che la sicurezza si contratta, soprattutto quando riguarda il diritto al benessere lavorativo, e non solo all’incolumità.

Innanzitutto, all’aperto e in temperature estreme non si deve lavorare. L’Inps prevede la cassa integrazione per eventi atmosferici, che scatta a 35° percepiti (circolare Inps n. 139 del 2016). E’ il limite più severo e ardito d’Europa. Nel resto d’ Europa la soglia di attenzione scatta verso i 30 gradi. Secondo l’OMS, quando le temperature superano i 30°C, il rischio di incidenti sul lavoro aumenta del 5-7% e, quando le temperature superano i 38°C, gli incidenti sono tra il 10% e il 15% in più. Non stiamo parlando solo di sacrosanti diritti dei lavoratori. Stiamo parlando di prevenzione, di economia e politica industriale, di rapporti costi benefici. Ci vuole proprio una classe imprenditoriale arretrata a non capirlo.

La normativa e le linee guida in materia di medicina del lavoro, a dire il vero, non sono particolarmente cogenti riguardo al rischio calore. Soprattutto, si preoccupano di evitare condizioni estreme. Ma l’allegato IV del D.Lsv 81 non fissa una temperatura massima, ma solo “adeguata all’organismo umano”. Nei luoghi chiusi con aria condizionata (che non è un obbligo), si stabilisce come raccomandazione un delta tra temperatura esterna e interna non superiore a 7 gradi.
Quindi, ricordiamoci che nei fatti, il diritto a lavorare in condizioni di relativo benessere, per quanto è possibile, in molti luoghi di lavoro è ancora tutto da conquistare. Lavorare in ambienti puliti, in un ambiente rispettoso dell’individuo e della sua dignità, in una temperatura che non lo costringa a un bagno di sudore, con raffrescatori dal costo contenuto, con acqua fresca a disposizione, con possibilità di prendersi pause e ricuperare le condizioni basali, sono ancora oggetto di lotta.

Davide Vasconi
R.L.S.T., Dipartimento igiene e sicurezza Cgil Reggio Emilia

Pubblicato il 4 Ottobre 2023