Salario minimo legale: un’urgenza non più differibile

In Italia esistono pensioni minime per legge, mentre per i salari non è previsto un Salario Minimo Legale (SML) universale, bensì esistono soltanto dei livelli minimi salariali categoriali, stabiliti nei CCNL, e dunque differenziati, che non coprono i settori ove tale contrattazione non avviene.

Qual è la normativa salariale in Italia?
I minimi tabellari lordi contrattuali sono (dati 2021), per i vari settori: Energia e petrolio 1.691,04; Agenti immobiliari 1.599,08; Farmaceutico 1.558,46; Gas e acqua 1.546,53; Cemento, calce e gesso 1.527,75; Metalmeccanici 1.488,89; Plastica e gomma 1.476,32; Restauro e beni culturali 1.456,63; Pompe funebri 1.440,24; Portuali 1.429,90; Edili Pmi 1.419,78; Commercio, terziario e servizi 1.390,29; Alimentaristi (artigiane) 1.375,48; Pesca marittima 1.357,15; Agricoltura (Contoterzismo) 1.349,41; Servizi elettrici 1.334,05; Farmacie private 1.327,25; Orafi, argentieri e affini 1.317,31; Legno Pmi 1.316,63; Studi e attività professionali .315,12; Centri di elaborazione dati 1.310,33; Chimica, gomma, plastica, vetro 1.305,97; Legno (artigiane) 1.303,28; Editoria e Grafica PMI, Fotografi e affini 1.301,71; Autotrasporto, spediz. merci 1.300,00; Grafica 1.294,97; Giornalista pubblicista 1.293,21; Pubblici esercizi, stabilimenti balneari, alberghi 1.293,15; Imprese di viaggi e turismo 1.291,84; Industria editoriale 1.289,48; Odontotecnici 1.264,17; Pulitolavanderie 1.240,58; Abbigliamento (artigiane) 1.238,05; Autoferrotranvieri 1.186,72; Gestione aeroportuale 1.173,17; Portieri e custodi 1.099,64; Amministratori di condominio 1.091,43; Pulizia 1.089,88; Settore televisivo 1.076,08; Vigilanza privata 1.072,35; Industrie alimentari 1.061,77; Settore radiofonico 1.040,07; Florovivaisti 874,65.

Il SML è utile per migliorare le condizioni retributive e di lavoro?
Il SML è l’unico strumento capace di combattere il fenomeno dei “contratti pirata” e tutelare coloro che non posseggono una copertura contrattuale. Negli altri paesi europei negli ultimi 20 anni i salari reali sono aumentati anche del 30%, mentre l’Italia è l’unico paese dell’UE dove sono diminuiti: è una strada verso il sottosviluppo, che oltretutto determina una vasta fuga di giovani laureati verso gli altri Paesi. Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil (2021), in Italia la retribuzione media lorda è pari a 29,4 mila euro l’anno, in crescita rispetto ai 27,9 mila euro del 2020, ma sotto la media europea, con il divario che si sta allargando rispetto agli altri Paesi. L’anomalia italiana della caduta del salario reale negli ultimi decenni dimostra che nel nostro paese la contrattazione non garantisce adeguatamente i lavoratori e i sindacati non sono riusciti a tutelarli efficacemente e per questo lo stato dovrebbe intervenire direttamente attraverso il salario minimo orario per via di legge e valido per tutti.

Il salario minimo contrattuale categoriale è sufficiente per la Direttiva UE?
Dopo l’approvazione della Direttiva europea, in Italia molti, a partire da Bankitalia, sostengono che si tratti di una scelta obbligata per far sì che tutti i lavoratori possano essere tutelati, ma anche i sindacati hanno ritenuto che il sistema italiano di per sé sia già sufficiente, dato che in Italia la definizione del salario minimo è già fissato per via della contrattazione che copre l’80% dei lavoratori, ottemperando così al dettato della Direttiva europea. Le perplessità delle Confederazioni riguardano tre questioni principali. La prima è il timore che l’introduzione del SML possa ridurre lo spazio della contrattazione, ma l’esperienza europea suggerisce proprio il contrario: ha dato una spinta alla contrattazione, ampliato i livelli salariali anche oltre il minimo e favorito l’aumento del tasso di copertura della contrattazione collettiva. La seconda è che con l’SML le aziende potrebbero decidere di tagliare sul welfare e altri benefici contrattuali aziendali, ma il welfare deve essere pubblico per tutti e non una mutua aziendale che porta al peggioramento della sanità e della previdenza pubblica, anche perché le decine di milioni di giovani, disoccupati, casalinghe e pensionati non godono del welfare aziendale. La terza riguarda il timore che il conseguente aumento del salario minimo potrebbe determinare l’uscita dal mercato di quei settori che attualmente hanno paghe orarie più basse, ma dimentica che una concorrenza fondata solo sul risparmio sul costo della forza lavoro è perdente, perché si confronta con la concorrenza dei paesi meno sviluppati, mentre proprio la spinta salariale è quella che ha sempre promosso l’avanzamento tecnologico e la ricerca, con una concorrenza fondata sulla qualità. I salari troppo bassi sono una strada per il sottosviluppo futuro, mentre i salari alti promettono un a crescita qualitativa futura. Non si può pensare di mantenere in una vita artificiale imprese solo sulla base di salari di fame, del lavoro nero e dell’evasione fiscale. Va anche ricordato che i settori che sopravvivono grazie al lavoro nero e all’evasione fiscale sono proprio quelli responsabili del continuo aumento, ogni anno, della strage delle morti bianche sul lavoro, con una continua inaccettabile strage dovuta all’insufficienza delle misure di sicurezza e alla precarietà generalizzata del lavoro, anche legalizzata dal cosiddetto Jobs Act di Renzi. Non è una soluzione da paese civile ed avanzato.

Stando alla stima del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) in Italia quasi tutti i lavoratori (98%) e tutte le aziende (99%) sono coperte dalla contrattazione collettiva che definisce i livelli minimi retributivi settoriali (sebbene molto più bassi rispetto alla media europea), per cui si potrebbe affermare che in Italia si supererebbe la soglia dell’80% richiesta dalla Direttiva e dunque è già in vigore il salario minimo, sia pure per via contrattuale, ma nei fatti non è così per svariati motivi e l’attuale situazione non può essere considerata sufficiente.

Ancora oggi oltre il 20% dei lavoratori italiani risulta scoperto dalla contrattazione collettiva e sono oltre 3 milioni le persone che lavorano in modo irregolare (12%) e il lavoro povero riguarda il 30% dei lavoratori. Molti datori per eludere gli stessi minimi contrattuali, fanno firmare al dipendente uno stipendio formalmente corretto, ma poi lo retribuiscono con un importo effettivo parecchio inferiore, ma è cosa assai difficile da dimostrare da parte del lavoratore. Non è obbligatoria la stipula di contratti collettivi, per cui esistono imprese o tipologie di contratti di lavoro individuali in cui non è applicabile nessun contratto collettivo e nessun limite retributivo minimo. L’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, tenuto per legge dal Cnel e dall’Inps, ha registrato 985 contratti nazionali di lavoro vigenti, il che ne rende impossibile il controllo, in enorme espansione, dato che dieci anni fa erano solo un paio di centinaia. Ciò è dovuto alla proliferazione dei “contratti pirata”, firmati da “sindacati di comodo”, a volte perfino fittizi, al solo scopo di sfuggire ai minimi tabellari riconosciuti contrattualmente dalle Confederazioni. Solo un terzo dei contratti censiti, circa 300, possiede un codice registrato dall’Inps, mentre negli altri casi l’Istituto ricorre alla generica indicazione “CD” che sta per “contratto diverso” e si può ritenere che i due terzi dei contratti Cnel non siano rappresentativi, se ignoti allo stesso Inps. Esiste inoltre il problema dei finti lavoratori autonomi con partita Iva, che essendo eterodiretti sono in realtà lavoratori dipendenti occultati ed assai poco tutelati. Anche ove esiste un CCNL di riferimento, spesso non viene applicato, come dimostra il fatto che più della metà dei contratti collettivi registrati nell’archivio del CNEL non viene utilizzata dai datori di lavoro nelle denunce mensili INPS (a ottobre 2020, su 854 contratti collettivi solo 403 sono stati indicati nelle denunce UNIEMENS). Esistono vasti settori di lavoratori a partita IVA “falsi autonomi”, perché interamente dipendenti sia in termini economici che in quelli lavorativi, determinati dal datore di lavoro ma senza le connesse tutele giuridiche ed economiche, anche in termini di salario minimo categoriale.

Cos’è successo in Germania?
La Germania è una situazione particolarmente interessante. I sindacati tedeschi erano stati in precedenza contrari all’introduzione del salario minimo per legge ma poi, di fronte ad un mercato del lavoro sempre più disuguale, hanno cambiato parere e ne sono diventati i fautori. Tradizionalmente il sistema tedesco era caratterizzato da un mercato del lavoro fortemente regolamentato e tutelato, con a stabilità occupazionale a tempo pieno e indeterminato, in una logica collaborativa della “codeterminazione” (“Mitbestimmung”), accompagnato a una forte rete di protezione sociale (ammortizzatori sociali e pensioni).

La riforma Hartz del mercato del lavoro, istituita nell’agosto del 2002 dal secondo governo del socialdemocratico Gerhard Schröder, ha creato una “flessibilizzazione” legislativa e contrattuale del mercato del lavoro subordinato “standard”, spostando la contrattazione collettiva a livello territoriale con una disciplina derogatoria “in pejus” (come ha fatto in Italia l’ultimo governo Berlusconi, con l’art.8 della legge 148/2011), che ha prodotto un rilevante peggioramento degli standard retributivi, riducendo i minimi salariali contrattuali e introducendo significativi aumenti di orario senza incrementi salariali, con un consistente continuo aumento della precarietà ed un peggioramento delle condizioni di lavoro. Ha attuato anche una deregolamentazione del lavoro “atipico” ( “kurzarbeit”, i “lavoretti”, a termine senza ragione oggettiva, interinale liberalizzato, d’opera), con un significativo aumento degli occupati precari marginali, in attività caratterizzate da bassa qualità e formazione ed instabilità contrattuale, inizialmente concepito solo per attività secondarie di studenti e casalinghe, ma poi di fatto, enormemente espanso come sostitutivo del lavoro standard, superando (dati 2013), i 7 milioni di posti (in maggioranza femminili, il 25% di tutti i lavoratori subordinati tedeschi). L’uso dei “kurzarbeiten”, esclusi dalla “Mitbestimmung”, sono stati incentivati dal governo con l’esenzione di imposte, anche familiari, e dei contributi previdenziali, consentendo di cumulare il reddito di cittadinanza con il lavoro marginale, e dall’eliminazione dell’orario settimanale massimo. Nel 2014 il 40% dei lavoratori tedeschi non era coperto dalla contrattazione collettiva e quindi non aveva alcuna tutela di salario minimo. Ciò ha comportato un dualismo del mercato del lavoro, con una progressiva divaricazione tra i soggetti protetti sotto il profilo giuslavoristico e quelli che si muovono ai margini del mercato del lavoro, in forte crescita. A seguito di una tale situazione di precarizzazione generalizzata del mercato del lavoro, i sindacaci hanno abbandonato il loro precedente rifiuto del SML, sostenendone la legge, varata dal governo di “Grande coalizione”, che ha introdotto il SMG dal gennaio 2015, che ha raggiunto, nel 2022, i 12€ orari, riducendo notevolmente la disuguaglianza salariale, aumentando il salario dei lavoratori meno retribuiti, senza effetti sui livelli d’occupazione.
Giancarlo Saccoman

Pubblicato il 4 Ottobre 2023