“Ri-armo”: l’illusione europea di tornare una potenza

Giorgia Meloni ci ha spiegato di pensarla come gli antichi romani: “Si vis pacem, para bellum” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”). Effettivamente, questo motto dei romani, risalente ad oltre duemila anni fa, era molto efficace per giustificare la potenza e la prepotenza bellica del più grande Impero della storia, che ha mosso guerre, conquistato e sottomesso popoli e territori di tutto il mondo, da nord a sud, da est ad ovest.

Se fossero Putin o Trump a rifarsi a questo motto, si potrebbe dire che hanno mire imperialistiche. Se invece lo utilizza la nostra premier, allude forse, più che al motto in sé, a quella romanità mussoliniana di più recente memoria che ci ha portato alla guerra. Se non fosse che, al contrario dei romani, la perdemmo.

In ogni caso, al di là di quello che pensa Meloni, la nostra Costituzione non prepara la guerra, ma al contrario la “ripudia” ed il Presidente del Consiglio ha giurato sulla Costituzione. Quindi dovrebbe rispettarla e non, al contrario, avallare chi sta decidendo di riarmare tutta l’Europa.

Il Vecchio Continente, per bocca di Ursula Von Der Leyen, avrebbero potuto usare decine o centinaia di altre parole al posto di “riarmo”: potenziamento o adeguamento dei sistemi d’arma di difesa, o il loro ammodernamento tecnologico. Invece è stata utilizzata, non a caso, la parola “ri-armo”, che è illuminante: perché dovrebbe preludere a far tornare l’Europa ad essere una potenza militare, ed è soprattutto riferito alla Germania (che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha dovuto sottostare a dei vincoli di disarmo).

Oggi è proprio la Germania che impone il piano, derogando anche dai trattati e dai vincoli di bilancio per spese di riarmo di quasi mille miliardi; ed è l’unico Paese che potrà farlo, non essendo gravato da debito pubblico come gran parte degli altri Paesi europei, Italia in testa. Una Germania che intende tornare ad essere una macchina da guerra, come negli anni 30, con un’incidenza di spese militari sul bilancio esponenziale e, soprattutto, in un contesto politico in cui il partito neonazista tedesco supera il 20% di consensi elettorali, mentre il partito popolare di Merz non disdegna un dialogo ed un tentativo di sdoganamento di questa ultradestra. Anche sul piano di uno scivolamento politico-culturale su posizioni razziste e xenofobe contro gli immigrati. Il razzismo, quindi, può accompagnare nuovamente il ri-armo, oggi come nel 1939.

Il nazismo faceva la guerra al resto dell’Europa per imporre una supremazia economico-politica imperialista, ed usava il nazionalismo, il razzismo, l’antisemitismo e le teorie sulla razza ariana come supporto ideologico-culturale e populista che teneva alto il consenso dell’opinione pubblica.

Per fare la guerra e sopportare i sacrifici che essa comporta, in termini di morti e di privazioni di vita, ci vogliono motivazioni forti e nemici mostruosi. Oggi si rimescolano ingredienti esplosivi nelle società, che il riarmo non potrà che far detonare.

Il riarmo si basa su due motivazioni fasulle.

La prima è che l’industria bellica può rilanciare l’economia: è falso, perché è ampiamente dimostrato che l’industria delle armi, al contrario, viene ‘mangiata’ dall’economia e produce squilibri che hanno bisogno di molto tempo per essere riassorbiti. Se pensiamo all’Italia, l’idea che le nostre industrie delle armi possano avere ricadute positive è quanto mai illusoria e velleitaria, perché se la Germania converte il suo settore automobilistico, in parte, in industria bellica, si ‘mangerà’ le nostre imprese, così come è successo con l’automotive.

La seconda motivazione è la necessità di difenderci da una minaccia ai nostri confini, ma anche questo è un falso problema. Perché ad essere minacciato è il pianeta, per gli squilibri ambientali ed economici generati dal modello di sviluppo e ci si può difendere se tutti insieme si coopera per un suo riequilibrio, utilizzando le risorse per sedare i conflitti interni e costruire forti autority internazionali.

Un errore strategico doloso è stato proprio quello di provocare la crisi degli organismi internazionali, metterli fuori gioco, per violare impunemente tutte le norme di diritto internazionale. Se si pensa di investire sul “si salvi chi può”, cioè il più forte, perdiamo tutti.

Su un altro terreno, l’emergenza non è la sicurezza, ma il razzismo, che alimenta l’odio e l’in-sicurezza. La soluzione non è la guerra alle diversità, ai popoli ed agli uomini stranieri, perché non bisogna confondere la forza di Pubblica Sicurezza, con la sicurezza pubblica.

Vorrebbero convincere l’opinione pubblica spacciando i loro intendimenti con la necessità di potenziare armi “difensive”. Figuriamoci: gli Stati Uniti, in nome del diritto alla difesa, hanno costruito la bomba atomica e l’hanno pure sganciata per ‘difendersi’, in una guerra che era già finita e avevano già vinto. Adesso, sempre in nome del diritto alla difesa, hanno costruito un missile che sfonda fino a sessanta metri di cemento armato, cosicché se un paese, per offendere, costruisce una muraglia o un bunker, loro per difendersi li possono sfondare.

Purtroppo, ormai siamo in balia di una narrazione tossica che disorienta le opinioni pubbliche mondiali. E anche quando l’orientamento è inequivocabile, non si rinuncia a mistificare, come nel caso di tutti i sondaggi sul riarmo e sulla guerra: la maggioranza della popolazione si esprime in senso contrario e si cincischia sul fatto che tra i giovani prevale nettamente il ‘no’ mentre tra gli anziani c’è un maggiore equilibrio. Certo, i giovani in guerra ci devono andare, mentre gli altri la vedono in televisione. Infatti, il governo si pone il problema di come inserire nelle scuole una azione rieducativa militare parallela al riarmo.

L’informazione è spesso assimilabile, già adesso, alla pura propaganda. Ormai siamo abituati alla disinformazione sulla guerra in Ucraina, sul genocidio di Gaza, poi sul conflitto tra Israele-USA e l’Iran. Hanno bombardato un Paese perché rappresenterebbe una minaccia nucleare, ma l’Iran il nucleare non ce l’ha, mentre Israele sì, e il conflitto non è stato autorizzato da nessuno. Quindi un Paese che non ha la bomba nucleare rappresenterebbe una minaccia nucleare per un Paese che ne dispone: sembra incredibile, ma per dodici giorni abbiamo assistito ad una quantità di idiozie sui giornali e a reti unificate.

E ancora: come si fa a sostenere che il nucleare sia un’arma di deterrenza e poi voler impedire che ce l’abbiano tutti? È una deterrenza o è una minaccia?

In realtà, si vuole impedire all’Iran di realizzare il suo piano di centrali nucleari di produzione energetica civile; peraltro, per condizioni ambientali quel Paese sarebbe uno dei pochi al mondo che potrebbe installare centrali nucleari in siti deserti per centinaia di chilometri tra il deserto e gli altopiani, con un impatto ambientale diretto e potenziale molto basso ed imparagonabile a quello della Francia, degli Stati Uniti e della stessa Russia. Questo permetterebbe una produzione energetica molto competitiva e consentirebbe all’Iran di favorire una diversificazione energetica da fonti fossili tale da controllare, in posizione di vantaggio, anche il mercato del greggio. Ed è esattamente questa la ragione per cui ce l’hanno tutti con l’Iran, compresi gli altri Paesi Arabi, legati commercialmente agli USA.

L’argomento della minaccia nucleare è così ridicolo da costringere ad aggiungerne un altro, più subdolo: il regime dispotico degli ayatollah che tortura ed uccide le donne e gli oppositori politici. Ma quando queste torture ed assassinii di Stato sono avvenuti, questi leader internazionali, non li abbiamo né visti né sentiti sulle piazze della protesta contro il regime, a fianco del movimento “donne vita libertà”, né hanno deciso azioni diplomatiche o sanzionatorie. Quindi, a lorsignori, dei soprusi del regime interessa poco: è un argomento pretestuoso, anzi dannoso, perché i missili e le bombe, non hanno certo rafforzato il movimento di protesta, bensì il nazionalismo e l’identità ultrareligiosa.

In conclusione, non solo non bisogna riarmarsi, ma bisognerebbe disarmarsi. E convertire il militare in civile, sia a proposito delle risorse umane sia strumentali ed infrastrutturali. Non è possibile che il mondo investa una parte consistente delle sue risorse nella guerra (il 5% alla Nato è peggio dei dazi). E, tornando all’Italia, non basta neanche dire che onoreremo l’impegno di portare le nostre spese militari al 5% del PIL senza togliere un euro alle altre voci del nostro bilancio. Senza dire che, facendo bene i conti senza bluffare, sarebbe impossibile. A meno che Meloni e Trump non abbiano concordato che la cosa importante oggi era di accordare al presidente USA una vittoria politica monumentale, che lo rilanciasse sia sul piano interno che internazionale, per poi permettere all’Italia di continuare a destinare il 2% del PIL al riarmo. In ogni caso, sarebbe riduttivo affrontare la questione della sanità, delle pensioni e del Welfare rivendicando di non tagliare loro un solo euro dal bilancio pubblico. Perché si tratta di investire di più su questi settori. Se vogliamo dare risposte ai cittadini italiani ed ai loro bisogni.

Pietro Soldini

Pubblicato il 1 Luglio 2025