“Per un movimento di antimafia sociale”
La terza sessione dei lavori a Cinisi ha messo a fuoco i rischi del “business autocelebrativo”
“Negli ultimi anni abbiamo provato a costruire un movimento di antimafia sociale, per evidenziare come quel movimento sia diventato un business autocelebrativo e burocratico. L’antimafia riguarda il presente e il futuro di questa terra, non è un fatto da relegare ai libri di storia e attiene ad una mobilitazione e ad una lotta per la pace, contro la lobby delle armi su cui le mafie, anche quelle emergenti, fanno ruotare parte del loro giro di affari”. Mario Ridulfo, segretario generale della Camera del Lavoro di Palermo, introducendo i lavori della terza sessione, ha decisamente messo ‘i piedi nel piatto’. L’importanza di ‘riscrivere’ gesti e azioni di chi si oppone alla criminalità organizzata fuori da rituali inutili (e talvolta dannosi), e in stretta connessione con chi difende e rivendica ogni giorno i diritti sociali, è una priorità assoluta. Da qui l’importanza, ribadita da Ridulfo, di alimentare “una campagna referendaria complicata e difficile ma non impossibile: non ci ripieghiamo certo su noi stessi e proviamo a guardare oltre, a conquistare e riconquistare diritti”. La democrazia, ricorda Ridulfo, “può morire anche alla luce del sole, come ha detto qualcuno: e mi pare proprio, di questi tempi, che sia proprio così”.
Difendere ogni istanza democratica, a partire dalla lezione di Peppino, è l’auspicio di Luisa Impastato, instancabile promotrice delle attività di “Casa Memoria”, così come è stata presentata da Elia Randazzo, chiamata a moderare la terza sessione dei lavori. Il 6 maggio, due giorni prima di questo dibattito, è stato finalmente consegnato dalla Sovrintendenza il casolare dove è stato ucciso Peppino: “E’ stato un giorno storico – dice Luisa – anche per la cura che abbiamo avuto in questi anni nel rivendicare l’importanza di quel casolare”. “Non ho conosciuto Peppino, me lo ha trasmesso nonna Felicia, scomparsa quando avevo 17 anni”, racconta Luisa. “La sua storia arriva con forza, emotivamente, attraverso i luoghi della memoria: difenderla è una responsabilità collettiva, per garantirci un presente più giusto e più libero. Peppino non rappresenta soltanto un’idea di lotta alla mafia; proprio il concetto di ‘antimafia sociale’ su cui stiamo riflettendo faceva parte di un percorso politico e di militanza su cui convergevano più lotte e più rivendicazioni. Ed è anche per questo che sosteniamo la battaglia referendaria della Cgil: perché non esiste antimafia senza diritti”. Il movimento antimafia sociale, che parte dal basso e dalla partecipazione, “è chiamato all’autoanalisi e alla riflessione, alla luce anche dei fatti di cronaca”. Pensiamo “ai 180 arresti degli ultimi mesi”, osserva Luisa Impastato, “che dimostrano ancora una volta quanto sia pervasiva la mafia, anche nella sua capacità riorganizzativa: dobbiamo contrastare – conclude – l’odierna cultura mafiosa che attrae, attraverso i suoi modelli, anche molti giovani; la memoria ci fornisce punti di riferimento sani, nel vuoto valoriale che ci circonda, che ci permettono di avanzare su questo impegno”.
La mattinata dell’8 maggio ospita anche una ‘finestra’ internazionale, con il graditissimo saluto alla platea di Carlos Tomada (già Ministro del Lavoro, dell’Occupazione e della Previdenza sociale in Argentina dal 2003 al 2015), che ha espresso tutto il suo sostegno ai referendum dell’8 e 9 giugno, “tanto più che la democrazia è in pericolo in tanta parte del mondo”.
A seguire, il dibattito è arricchito da due interventi che hanno riconnesso (come era accaduto nel corso della giornata precedente) alcuni aspetti legati alle politiche economiche con il grande tema dei diritti sociali.
Dapprima la giornalista Lucia Tozzi, giornalista esperta di politiche abitative, riflette compiutamente sul“rapporto tra l’abitare e il lavoro nelle politiche urbane contemporanee”, proponendo un’interessante riflessione sulle conseguenze della trasformazione di interi quartieri, una volta popolari, in ‘distretti attrattivi’, mettendoli in competizione tra loro (anche in chiave turistica) determinando un aumento esponenziale dei prezzi delle case, espellendo così intere fasce della popolazione dalla possibilità di continuare a vivere in quei contesti urbani. “Fino agli anni 90 – spiega Tozzi – gli Stati raccoglievano le tasse per redistribuirle a livello più o meno uniforme, pur con tutte le differenziazioni caso per caso, mentre con la globalizzazione i soldi pubblici iniziano ad essere distribuiti senza più criteri di uguaglianza, decidendo di investirli nei luoghi più promettenti turisticamente, affinché a loro volta producano ulteriori investimenti privati”. Alimentando così un sistema “che concentra la ricchezza in sempre meno persone, anche attraverso le politiche abitative”.Si chiama ‘lussificazione’ delle case il fenomeno in atto “per quanto spacciato per riqualificazione urbana”, spiega la giornalista: in questo modo “le nostre città diventano luoghi per pochi”.
Per provare a riprendere il bandolo della matassa e operare concretamente al fine di migliorare le condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, a livello abitativo e andando oltre, “dobbiamo riprendere il tema della coscienza di classe, che si fonda sulla conflittualità”: lo dice a chiare lettere la saggista e ricercatrice economica Lidia Undiemi: “Gli interessi del capitale e quelli dei lavoratori non possono convergere perché intrinsecamente contrapposti – aggiunge – benché tanti anni di concertazione abbiano provato a dimostrare il contrario”. La grande lotta del capitale, durante la globalizzazione, “è stata rivolta contro le battaglie per i diritti, considerate pericolose: dobbiamo quindi andare al di là di certi schemi – conclude Undiemi – abbandonando l’idea che la globalizzazione possa favorire il benessere dei lavoratori; al contrario, i lavoratori vengono chiamati ai ‘sacrifici’ senza nemmeno comprenderne il motivo”.
Dopo il messaggio di saluto di Ramon La Torre, Segretario di Rifondazione comunista di Palermo, interviene (concludendo la terza sessione dei lavori) Gianfranco Francese della Cgil Toscana, che rimarca l’importanza di ‘essere partigiani’, ancor più nella drammatica fase storica che stiamo attraversando: “Bisogna ‘prendere parte’, non girarsi dall’altra parte, perché la storia non è finita dopo il 1989, anche se così ci era stato detto…”.
Pa. Rep.
Pubblicato il 16 Maggio 2025