I migranti e i loro diritti imprigionati

Il fallimento strategico dell’accoglienza al centro dell’ultima sessione dei lavori a Cinisi l’8 maggio

“E’ stato deciso che l’Europa deve essere divisa in gabbie: alcuni possono raggiungere i Paesi ‘ricchi’ e altri no. Con tutti i soldi che l’Italia ha dato all’Albania per gestire i migranti, quante scuole si sarebbero potute costruire? Quante risorse per i servizi sociali si sarebbero potute stanziare?”. In due frasi il giornalista Stefano Galieni ha condensato la quotidiana tragedia migratoria, nel corso del primo intervento durante l’ultima sessione di dibattito a Cinisi, il pomeriggio dell’8 maggio.

“I CPR – ha osservato Galieni – al di là di tutti gli acronimi con cui vengono appellati, restano luoghi per eliminare dall’Italia le persone che si vogliono cacciare, ammesso che si riesca a cacciarle…”. Così può accadere che, in un Paese ad inverno demografico, con il livello di servizi pubblici socio-assistenziali sempre più infimo, “si assista impunemente alla deriva di un’Europa che propone guerre e campi di detenzione, con i governi che si accordano con quei Paesi dove si torturano abitualmente le persone”.

Molti errori “li abbiamo fatti anche noi”, ha osservato Galieni riferendosi alla sinistra, “considerando che non riusciamo a costruire e a dare voce ad una narrazione in grado di arrivare al cuore e alla testa delle persone e di mandare a gambe all’aria i tavoli dei governi dell’Italia e dell’Europa, se pensiamo a come hanno governato il continente in questi decenni…”.

In realtà Galieni ci ha provato, a dare voce a quella narrazione, dando alle stampe “Sconfinate” (Editorialenovanta editore, pagg.148), un crogiolo di diciotto storie intergenerazionali, tutte al femminile e provenienti da diversi continenti. Nel suo libro, il giornalista racconta le migrazioni partendo dalle protagoniste e dalle loro progettualità, sgombrando il campo da ogni stereotipo e riflettendo (insieme alle sue “co-autrici”) di subalternità e discriminazioni di genere, di classi sociali e di razze. Nel corso del dibattito, Eliana Como ha letto un passaggio del libro, per “entrare” nella storia e nel vissuto di una delle donne scelte da Galieni e arricchire quella inedita e utilissima narrazione.

Il binomio “diritti e libertà” è il grande rimosso, quando si affronta il tema dell’immigrazione, tantopiù se coniugato al femminile. La mediatrice culturale Najla Hassen – secondo intervento di questa sessione di dibattito – ha condiviso una riflessione sulle storture in atto nel cosiddetto “mondo del sociale e dell’umanitario”, quello che dovrebbe tutelare i più deboli e dotare i migranti di maggiori opportunità. “In realtà – ha affermato la mediatrice – anche in questo ‘ecosistema’ ha attecchito l’indifferenza: le richieste di aiuto ricevono risposte come ‘non rientra nel mio mandato’… stiamo insomma disumanizzando le persone senza rendercene quasi conto”.

L’antidoto a questa deriva “è la nostra inquietudine – ha concluso la mediatrice – che ci permette di vedere il dolore degli altri”.

Di inquietudine, ma anche di speranza e di ricerca costante del riscatto dei più deboli, si intende moltissimo Mimmo Lucano, per lungo tempo primo cittadino di Riace, in Calabria. “Da sindaco – ha ricordato Lucano – ho vissuto quindici anni a partire da un punto di osservazione privilegiato, fondato sullo spirito di appartenenza in nome dei diritti umani, dell’uguaglianza e dell’umanità; valori che ho imparato non dalle parole ma strada facendo, attraverso atti concreti”.

Dall’altra parte “c’è la mafia che alberga nelle istituzioni, che è la più pericolosa”, perché rende l’aria torbida, quando non ostacola direttamente coloro che si battono per i diritti sociali. “A Riace – ha ricordato Lucano – ci siamo permessi di mettere l’insegna ‘paese dell’accoglienza’, scatenando le destre contro di noi: Salvini è venuto a ‘farci visita’ tre volte, per contrastare il racconto di un ideale politico di fratellanza e solidarietà.

A riconnettere il tema delle migrazioni agli aspetti giuridici più significativi ha pensato l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, Direttore dell’Associazione ‘L’Altro diritto-Sicilia’, che ha puntualizzato il ruolo dei centri detentivi riservati ai migranti che giungono in Italia in cerca di riscatto e opportunità. “La funzione di queste strutture, nel tempo, ha assunto un ruolo ‘pedagogico’ più ampio”, ha spiegato; essendo rivolte non soltanto a chi arrivava senza permesso di soggiorno, ma via via anche ai richiedenti asilo. “Quindi – ha proseguito Vassallo Paleologo – la funzione di trattenimento è servita a ‘stampare’ la condizione di ‘irregolare’ ad un’infinità di persone”. E quel messaggio è divenuto ‘pedagogico’ non soltanto in una certa interpretazione giurisprudenziale “ma anche verso gli italiani, che hanno imparato via via a combattere gli ‘irregolari’”.

Da qui la necessità di essere sempre più consapevoli nei confronti delle criticità connesse all’immigrazione, assumendo in primo luogo “come impegno comune il lavoro: l’Italia criminalizza gli ingressi degli ‘irregolari’, che producono precarizzazione e abbassamento delle condizioni lavorative, le quali si ripercuotono anche sulle condizioni degli italiani”. Al contrario, ha concluso il giurista, “occorre regolarizzare permanentemente i lavoratori migranti con forme di contrattualizzazione stabile: è questa la battaglia che ci aspetta; e i referendum della CGIL potrebbero aiutarci a favorire questa consapevolezza”.

Sul ruolo del sindacato utile a favorire diritti e integrazione si è soffermato Peppe Scifo, Segretario generale della CGIL di Ragusa: “Il decreto Flussi è una spilletta che il governo si è messo al bavero della giacca, nell’ambito di un’idea liberista, secondo la quale il tema degli ingressi regolamentati è di fatto regolato sulla base delle esigenze degli imprenditori”.

Diritto alla migrazione e diritto alla mobilità rappresentano invece “il nostro faro, da proporre all’Europa a fronte di un fenomeno drammatico”, che presenta situazioni consolidate e anche inedite: “Come ad esempio – ha aggiunto Scifo – le donne braccianti, in seguito all’arrivo dei primi flussi dalla Romania nei primi anni Duemila”. Ciò che ha spinto tante donne a tentare la fortuna nel nostro Paese è stato spesso legato alle voci di allargamento dell’Europa alla Romania, circostanza poi avvenuta nel 2007. “Ma lo status di europei – ha osservato il segretario della Cgil di Ragusa – non ha mutato la loro condizione: se si è ‘schiavi’, in un sistema economico, neanche il ‘tesserino’ europeo può rivelarsi utile, perché la cittadinanza acquisita resta una scatola vuota”. Con tutti gli effetti in termini di competizione al ribasso.

Pa. Rep.

Pubblicato il 26 Maggio 2024