Sciopero generale: 17 novembre, perché no?

Intervista ad Eliana Como: “La manovra economica la pagheremo noi, non c’è un’idea di sistema industriale, di messa in sicurezza del territorio, di politica energetica. Non c’è un’idea di Paese che vada oltre gli interessi di liberi professionisti e evasori”

La guerra mondiale “a pezzi”, per usare l’espressione coniata da Papa Francesco già nel 2014, ripropone al mondo intero il dramma israelo-palestinese, dimenticato per qualche anno e riesploso con inaudita violenza. Così, a suon di migliaia di morti al giorno, la politica estera si affianca a quella interna, che vede protagonista un governo incapace di affrontare i problemi quotidiani che assillano milioni e milioni di cittadini-lavoratori.

Il colloquio con Eliana Como, Portavoce nazionale dell’area ‘Le Radici del Sindacato”, non può che partire dai gravissimi fatti che attraversano la cosiddetta “terra santa”. L’assedio a Gaza, da parte dell’Israel Defense Forces, ha il sapore della vendetta più che della giustizia: “Stiamo combattendo animali – è stato scandito dal Ministro della Difesa israeliano – e ci comporteremo di conseguenza».

“Nella striscia di Gaza – osserva Eliana Como – vivono due milioni di persone in gabbia, già stremate dalla povertà: non giustifico Hamas, perché condanno ogni azione di guerra e non sovrappongo la causa palestinese ad Hamas, ma non si può non vedere da dove nasce questa radicalizzazione e tacere decenni di apartheid, occupazione, violazione dei trattati e dei diritti umani. E, per dirla tutta, penso che nemmeno gli animali possano essere trattati con un simile livello di disumanità. L’assedio sta stremando la popolazione. In meno di una settimana, sono morte a Gaza varie migliaia di persone, in larghissima parte civili. Per bombardare la città, l’esercito israeliano ha usato bombe a grappolo, le più pericolose proprio per i civili e i bambini…”.

Come nella drammatica vicenda russo-ucraina, la Comunità internazionale neanche in questa occasione dà certo il meglio di sé…
La Comunità internazionale, invece che gettare benzina sul fuoco, dovrebbe intervenire per fermare l’assedio e il bombardamento di Gaza, per provare a interrompere l’escalation di morte e consentire al popolo palestinese di vivere finalmente in pace. Su palazzo Chigi, il governo ha proiettato la bandiera di Israele. Io finalmente vorrei vedere la bandiera della pace.

Che pronunciamento avete assunto a riguardo in CGIL nel corso dell’Assemblea Generale del 18 ottobre?
La Segreteria ha proposto un ordine del giorno, che sottolinea giustamente la responsabilità di Hamas, il suo profilo reazionario e le sue scelte violente. Ma non inserisce l’attacco del 7 ottobre nel contesto più generale della subordinazione della Cisgiordania e della striscia di Gaza, non ricorda la politica di bombardamenti indiscriminati condotta dall’esercito israeliano, non si riferisce mai al diritto di autodeterminazione del popolo palestinese. Aggiungo che l’ordine del giorno propone, come unica prospettiva e soluzione del conflitto, l’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e una nuova conferenza internazionale di pace per riconoscere lo Stato di Palestina come membro pieno dell’Assemblea delle Nazioni Unite, con confini certi, con piena sovranità e responsabilità, sulla base di quanto accordato tra le parti con gli Accordi di Oslo. Ma non possiamo non vedere che le soluzioni che si ipotizzarono ad Oslo nel 1993 fanno riferimento a confini di Israele di fatto superati da una politica di colonizzazione e spartizione dei territori. Io non pretendo di sapere quale sia la soluzione, perché per troppo tempo il popolo palestinese è stato abbandonato a se stesso. Credo che spetti alla CGIL e a tutto il movimento sindacale e pacifista mobilitarsi per pretendere l’immediata fine dell’assedio e dei bombardamenti su Gaza.

Nel corso dell’Assemblea generale CGIL avete poi affrontato due grandi temi di politica interna: la legge di bilancio e il salario minimo.
Cominciamo col dire che la manovra economica è quasi interamente in deficit, e tale condizione è utilizzata in funzione propagandistica; perché non compare alcuna idea di Paese, di sistema industriale, di messa in sicurezza del territorio, di politica energetica di fronte ai disastri della crisi climatica. Ed è in larga parte finanziata da spending review (quindi altri tagli) e da privatizzazioni. E se c’è una cosa chiara che il governo sta facendo è rinunciare alla lotta all’evasione fiscale, puntando a recuperare risorse altrove.

Entriamo brevemente nel merito dei punti salienti della manovra?
Il Ministro Salvini intasca 13 miliardi per il Ponte sullo Stretto, ossia per una grande opera propagandistica, inutile oltre che pericolosa, che non riesce comunque a nascondere l’assenza totale di proposte complessive sullo sviluppo delle reti locali e della messa in sicurezza del territorio. Ma lo stesso Salvini – attenzione! – accantona tutte le promesse elettorali sulle pensioni: ‘quota 41’ è ormai un miraggio, così come le ‘minime’ a 1000 euro. Restano quindi la legge ‘Fornero’ e, forse, ‘quota 104’. Mentre ‘opzione donna’ e Ape sociale per le categorie fragili e i lavori gravosi diventano sempre più penalizzanti. Francamente, pareva difficile peggiorare la situazione esistente, ma il Governo ci è riuscito. Alla faccia di tutti coloro (tanti purtroppo) che li hanno votati, proprio perché speravano in miglioramenti in ambito previdenziale. Resta il fatto che il tema-pensioni è stato un nodo cruciale nella costruzione del consenso elettorale che ha portato Meloni a palazzo Chigi. Andrebbe quindi incalzata proprio su questo, e se non accade è anche per responsabilità della CGIL, che non ha saputo porre un tema così decisivo come elemento centrale della sua azione, negli ultimi mesi. Aggiungo che ho trovato fastidiosissima la scelta della decontribuzione e del bonus asilo per il secondo figlio e la retorica con cui il Governo si rivolge alle donne, le quali contribuirebbero al bene della società a seconda del numero dei loro figli, secondo la logica che portò a trasformare ‘opzione donna’ in ‘opzione mamma’. Non servono bonus, ma salari più alti e nuovi asili, perché in alcune zone del paese mancano completamente. Inoltre, perché la decontribuzione per il secondo figlio spetta solo alle donne? È il modo peggiore per assecondare l’idea che fare figli è tutto in carico alle donne. Devo dire che mi ha anche dato fastidio che la premier Meloni usasse il video di cori sessisti alla manifestazione del 7 ottobre per spostare l’attenzione dalle rivendicazioni di quella piazza. Sogno un mondo dove gli uomini non usino frasi sessiste per offendere una donna, che sia ai vertici dello Stato o una prostituta, piuttosto che la madre sorella moglie e figlia dell’arbitro allo stadio. E soprattutto dove sia ogni uomo ad avere rispetto, soprattutto ministri, giornalisti e generali dell’esercito. Ma non meno gli operai ad una manifestazione. Alle nostre manifestazioni possiamo scegliere cori molto migliori, di argomenti ne abbiamo da vendere. Detto questo, la polemica è stata proprio strumentale: la Presidente del Consiglio farebbe meglio a indignarsi quando suoi esponenti in Parlamento fanno il saluto fascista ai raduni e soprattutto impegnarsi un po’ a dare risposte alla manifestazione del 7 ottobre.

Il Governo ha anche provato a sostenere di aver investito più risorse nella sanità pubblica.
E’ un goffo gioco di prestigio: il ministro Giorgetti ha sostenuto che ci sono 3 miliardi in più rispetto a quelli previsti: ma in rapporto al Pil e all’inflazione, la spesa è diminuita dello 0,3%. Inoltre, 600 milioni vengono dirottati sui privati in convenzione per ridurre le liste di attesa: quindi, risorse pubbliche dirottate verso il mercato. Si tratta della riproposizione a livello nazionale dello stesso modello che ha piegato nel 2020 la Lombardia, dove oggi si sperimenta, non a caso, il pronto soccorso privato.

Anche sul versante della lotta all’inflazione non sono in arrivo provvedimenti commisurati all’emergenza sociale in atto…
Grattando i titoli dei giornali, sotto non c’è nulla: il taglio del cuneo fiscale lo varò il governo Draghi; l’accoppiamento delle fasce Irpef è minimo (8/10 euro al mese); le risorse per i CCNL pubblici sono largamente insufficienti a coprire il fabbisogno. E vedremo come saranno distribuite, comunque sono dirette solo ad una tantum sul 2024 (un anticipo natalizio unilaterale, dal sapore elettorale), mentre i contratti sono scaduti nel 2022 e l’inflazione è stata tra il 16 e il 18%.

Contratti pubblici scaduti e non rinnovati, inflazione alle stelle, risorse per la sanità dirottate sul privato… eppure la parola “sciopero” viene sussurrata sottovoce.
Lo ha fatto la UIL, negli ultimi giorni. Eppure abbiamo avuto la possibilità di pronunciarla noi il 7 ottobre alla grande manifestazione a Roma: per meglio dire, lo sciopero generale è stato evocato eccome, ma da chi ha manifestato e non dal palco. Dovremmo riempirci la bocca con le parole ‘sciopero generale’ e invece sembra che ne abbiamo il timore. Le imprese inquinano, licenziano via e-mail, delocalizzano da un giorno all’altro, pagano 5 euro l’ora. E noi abbiamo timore di dire ‘sciopero’! Di fatto, siamo usciti ancora dall’Assemblea Generale del 18 ottobre senza averlo proclamato. Si è dato mandato alla Segreteria di decidere iniziative di sciopero articolate, in modo non chiaro, per regioni e categorie. Gli scioperi articolati andavano bene, ma prima dell’estate, per preparare e costruire un percorso, non al suo termine, con il Governo che accelera i tempi per approvare la Legge di Bilancio. Dobbiamo essere noi a trascinare la UIL sulla decisione di indire una giornata di lotta. Altrimenti corriamo il rischio di ripercorrere quanto accaduto negli anni scorsi: ossia ‘andare lunghi’, senza aver avuto il tempo di preparare adeguatamente lo sciopero con la nostra base. Perciò avremmo voluto uscire dall’ultima Assemblea Generale della CGIL con l’indicazione chiara della data del 17 novembre, per iniziare da subito, dal giorno dopo, nei posti di lavoro, a costruirlo per farlo davvero riuscire. L’anno scorso è andato male perché lo abbiamo convocato in ritardo e rimaneva poco più che una settimana per prepararlo. Questo non ce lo possiamo più permettere.

Un’ultima domanda: sei tra quelle che ha espresso solidarietà a Meloni per la separazione con il Gianbruno?
Non ci penso nemmeno. La solidarietà va fatta alle giornaliste che hanno subito molestie sul lavoro da parte di Gianbruno, lo stesso che parlava di transumanza dei migranti e invitava le ragazze a non ubriacarsi se non volevano essere stuprate. Affermazioni gravissime. Spero che Mediaset lo licenzi, finalmente. Per il resto, Gaza brucia, la legge Fornero è confermata e a dio patria e famiglia non ci ho mai creduto. A proposito: ci vediamo a Roma il 25 novembre alla manifestazione nazionale di Non Una di Meno contro la violenza contro le donne.

Paolo Repetto

Pubblicato il 24 Ottobre 2023