Salario minimo legale: una questione di dignità

Qual è l’utilità del salario minimo legale (SML) per i lavoratori? Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue considerazioni finali della relazione annuale 2023 ha affermato con molta forza che “come negli altri principali Paesi, l’introduzione di un salario minimo legale, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale. Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate. In molti casi il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate; la quota di giovani che dopo cinque anni si trova in condizioni di impiego a tempo determinato resta prossima al 20%. Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate; come negli altri principali paesi, l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale”, aggiungendo “non perdiamo tempo, il salario minimo è utile” e i giovani “vanno ascoltati e aiutati”.
L’introduzione del SML fornirebbe un parametro certo anche per la definizione da parte della Magistratura della “retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, prevista dall’art.36 della Costituzione per tutto il mondo del lavoro. Consentirebbe al dipendente sottopagato non protetto da un CCNL di fare ricorso al giudice, preferibilmente assistito dal sindacato, perché, come stabilito dal comma II dell’articolo 2099 del Codice Civile, in mancanza di norme sindacali o di accordo tra la parti, è il giudice a determinare la retribuzione sufficiente.

Quali sono le proposte finora avanzate in Italia?
Data la sconfortante situazione dei lavoratori italiani, ampiamente precarizzati e frammentati dal “Jobs Act” di Renzi e con una retribuzione largamente insufficiente, alcune forze politiche, ancora pria dell’approvazione delle Direttiva europea in merito, hanno proposto l’introduzione del salario minimo orario lordo legale nazionale, con l’obiettivo di superare i limiti della via contrattuale, sia per l’esistenza di contratti con minimi troppo bassi, che per dare una soluzione universalistica, che consenta di fissare la soglia minima anche per i lavoratori non contrattualizzati come dipendenti, ma questa strada è stata bocciata dall’attuale maggioranza di Governo.
Nel 2016 è stata esaminata in Parlamento, senza produrre alcuna iniziative legislativa, la proposta di un SML di 9 euro lordi orari (pari all’80% della mediana delle retribuzioni dei lavoratori privati in Italia), che avrebbe interessato (dati INPS 2015) 2.593.875 occupati pari al 21,2% del totale, per un importo complessivo di 6,7 miliardi di euro, così ripartiti lavoratori a tempo pieno 1.913.905 (18,4% per 5,2 miliardi di spesa) e lavoratori a tempo parziale 679.970 (29,0% per 1,5 miliardi di spesa).
Il Ministero del Lavoro del precedente Governo, prima delle elezioni politiche del 25 settembre 2022, aveva proposto l’istituzione del SML da finanziare nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma, a seguito del cambio di Governo, nella seduta del 30 novembre 2022 (con la mozione 1/00030 della Camera a prima firma della Deputata Rosaria Tassinari di Forza Italia, che è un atto di indirizzo politico sulle linee guida da seguire), la Camera dei Deputati ha impegnato formalmente il Governo ad abbandonare l’introduzione del salario minimo, interrompendo così le iniziative legislative proposte negli ultimi 5 anni per l’introduzione del salario minimo in Italia.

La posizione contraria del Governo contraria all’istituzione dello SML è stata poi confermata il 15 marzo 2023, al “Question Time” della Camera dei Deputati, in cui il Premier Giorgia Meloni ha ribadito il suo “no” al salario minimo in Italia, sostenendo, in modo assai opinabile, “penso che il salario minimo in Italia sia un po’ uno specchietto per le allodole. La stragrande maggioranza di chi oggi è lavoratore dipendente nel privato è coperto da contratti collettivi nazionali che già di fatto prevedono un minimo salariale. Si dice che una norma sarebbe necessaria per i contratti “pirata”, quelli firmati da associazioni sindacali meno rappresentative, ma dobbiamo ricordare che il 97% dei lavoratori del settore privato sottostanno a contratti firmati dalla triplice sindacale confederale. E quindi anche questo tema è abbastanza secondario”. Ma come abbiamo visto ciò non corrisponde alla realtà. Propone in alternativa il taglio delle tasse, cioè del cosiddetto “cuneo fiscale”. Va ricordato a tale proposito che nella legge di bilancio 2023 i lavoratori autonomi e le imprese potranno applicare la cosiddetta “flat tax”, un’imposta piatta del 15% sostitutiva dell’IRPEF e relative addizionali, passando da 65.000 a fino a 85.000 euro di fatturato rispetto ai valori del triennio precedente, e che ciò comporta, secondo la Relazione sull’evasione fiscale e contributiva allegata alla Nadef, la creazione di una nuova categoria, quella dei “falsi minimi”, che per sfruttare la super-agevolazione rappresentata dalla tassa piatta del 15%, scelgono di “scivolare” sotto questa soglia, attraverso l’evasione fiscale, evitando di dichiarare il fatturato eccedente. Ne consegue il fatto che il “tax gap” cioè la propensione alla fuga dal fisco misurata dalla distanza fra il gettito potenziale e quello reale, che nel 2020 era già salita al suo massimo storico del 68,7% fra i lavoratori autonomi e le imprese, sottraendo alle casse dello Stato 27,65 miliardi di euro di evasione, salirà ancora vertiginosamente, moltiplicando l’evasione fiscale. Il risultato è che i lavoratori dipendenti ed i pensionati, che non possono evadere perché subiscono il prelievo attraverso il sostituto di imposta, sono quelli che pagano per intero il fisco, mentre le continue agevolazioni riducono il contributo fiscale di lavoratori autonomi e imprese. La “tassa piatta” non è stata applicata ai lavoratori dipendenti ed ai pensionati (ulteriormente defraudati rispetto al recupero dell’inflazione stabilito per legge), per ragioni di contenimento del bilancio, gravato dal costo dell’invio di armi all’Ucraina, addebitato dunque a piè di lista a dipendenti e pensionati, super-paganti “figli di un dio minore”. Senza una lotta all’evasione delle altre categorie di contribuenti, che viene invece incentivata per motivi elettorali, accrescendo ulteriormente l’iniquità del sistema e premiando gli evasori.

Una ulteriore conferma del deciso rifiuto del salario minimo è giunta da Gian Marco Centinaio della Lega e da Antonio Misiani di Forza Italia, che hanno criticato la dichiarazione del Governatore Ignazio Visco a favore dell’introduzione del SML.

La questione non è comunque chiusa e anche l’Italia dovrà uniformarsi alle indicazioni dell’UE e mirare a raggiungere le tutele per i lavoratori indicate nella Direttiva comunitaria, perché qualora un Paese non recepisca una Direttiva, la Commissione potrà avviare procedure di infrazione e adire la Corte di Giustizia dell’UE (che può portare a una condanna con conseguenti penalità), ed i cittadini, a loro volta, in mancanza di una norma nazionale di recepimento della Direttiva possono chiedere al giudice di applicarla direttamente. È questo il momento di mobilitarsi per un obiettivo molto importante per le condizioni di vita dei lavoratori dipendenti e le loro famiglie. Attualmente è in corso la raccolta di firme, proposta da Unione popolare, per una legge di iniziativa popolare per stabilire un SML di 10 euro orari.

L’assenza dello SML è causa della povertà lavorativa?
Secondo i dati Eurostat, i salari fissati dalla contrattazione collettiva sono comunque troppo bassi rispetto alla media europea: nel 2021 il salario lordo annuo medio di un lavoratore dipendente a tempo pieno era di 27.404 euro in Italia contro i 37.382 euro della media dell’Eurozona e oltretutto l’11,7% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali. Va ricordato che la disoccupazione è anche un problema di reddito: una persona con una rendita finanziaria elevata anche se non lavora non è disoccupata, mentre un lavoratore che lavora un numero molto elevato di ore, se non dispone di un reddito sufficiente, resta, almeno parzialmente, disoccupato. In tale situazione, s’è diffuso anche in Italia il fenomeno dei “working poors”, i lavoratori poveri che, pur essendo regolarmente occupati e lavorando spesso un numero elevato di ore, hanno un reddito inferiore alla soglia di povertà relativa (meno del 60% del reddito mediano nazionale) e ciò è strettamente connesso all’inesistenza del SML. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Secondo l’ultimo report di “In-work poverty in the EU” del 2021, l’8,9% dei lavoratori nell’UE era a rischio povertà, ma vi sono notevoli differenze tra i vari stati, dal 15,2% della Romania al 2,8% della Finlandia. L’Italia è quarta per maggior povertà lavorativa, fra i 27 Paesi UE, con l’11,7%, dopo Romania, Spagna e Lussemburgo, (mentre i Paesi dove è più bassa, sotto il 5%, sono Finlandia, Cechia, Slovacchia, Irlanda, Slovenia, Belgio e Croazia). In 12 Paesi l’incidenza della povertà lavorativa è aumentata nel corso dell’ultimo decennio, tra cui anche l’Italia (+0,6% tra 2012 e 2021); l’aumento più forte è stato in Lussemburgo (+3,2% dal 10,3% al 13,5%), mentre il miglioramento maggiore si è registrato in Grecia (-4%). L’intensità lavorativa è l’indicatore di Eurostat della partecipazione al lavoro su base familiare, legata all’incidenza della povertà e in Italia l’8,3% dei lavoratori a rischio povertà fa parte di nuclei familiari a elevata intensità lavorativa, il 25,7% riguarda quelli a intensità lavorativa media ed il 40,2% quelli ad intensità bassa. La Danimarca è il Paese che presenta il divario più ampio tra la povertà media (18-64 anni) e quella giovanile (6,5% contro 19,8%), mentre in Italia lo scarto è del 3,6% (11,7% contro 15,3%), mentre in 9 paesi lo scarto è a vantaggio dei giovani. Nonostante l’elevato numero di lavoratori in condizioni di povertà, l’Italia è uno dei pochi paesi sprovvisti di un SML.

Giancarlo Saccoman
(3 – fine; la prima e la seconda parte sono state pubblicata sul n. 15/23 del 5 settembre 2023 e sul numero 17/23 del 3 ottobre 2023)

Pubblicato il 12 Novembre 2023