Quelle vite portate vie dall’amianto

E’ di questi giorni l’archiviazione da parte della procura di Reggio Emilia dell’esposto del Sindaco sui 52 morti di mesotelioma dello stabilimento Icar Spa, oggi “Industria Eternit Rubiera”

La famiglia Fochi era custode dello stabilimento di Rubiera, sulla via Emilia, un popoloso paese operaio a metà strada tra Reggio e Modena. Mamma Rina, papà Emilio, un bambino e una bambina che negli anni 70 scorrazzavano felici e indisturbati la domenica, con le loro biciclettine da cross, nel vasto cortile dello stabilimento chiuso. Tutti mancati negli anni Novanta. Franco Gozzi nei capannoni di Rubiera ci aveva fatto pure carriera: partito come operaio nel 1965, nel 1993 era diventato impiegato tecnico addetto alla produzione delle lastre, ma morì un anno dopo, nel 1994, mesotelioma pleurico dx diffuso. Carla Iotti era la moglie di Alfredo Bersani, storico delegato sindacale Fillea-Cgil fortunatamente ancora tra noi. In fabbrica non ha mai messo piede, ma lavava le tute imbiancate di polvere del marito, mancata da poco. E gli altri 46 caduti di Rubiera fanno parte di una tragica storia ancora più grande. 4.412 in Italia al 31 dicembre 2021.

Il mesotelioma pleurico non è un comune tumore ai polmoni. Innanzitutto è praticamente inesistente in natura, ma è dovuto unicamente alla contaminazione da amianto. In secondo luogo è una cosiddetta “malattia ad esito infausto”. La mortalità supera il 95 per cento, con una speranza di vita tra i sei e i nove mesi, anche se la ricerca medica ha fatto passi avanti, e ora non manca qualche fortunato (si fa per dire) long survivor. Mai perdere la speranza. Ci torneremo sopra.
E’ di questi giorni l’archiviazione da parte della procura di Reggio Emilia dell’esposto dell’attuale sindaco Emanuele Cavallaro sui 52 morti di mesotelioma dello stabilimento Icar Spa, poi divenuto “Industria Eternit Rubiera”. Sul registro degli indagati ancora lui, Ernst Stephan Schmidheiny e Luigi Giannipatri (ex amministratore delegato). Ma il gip del tribunale di Reggio, su richiesta del PM, ha archiviato tutto: “Impossibile attribuire agli indagati la responsabilità delle morti delle persone offese a causa dell’inalazione dell’amianto per la mancanza di accertamento del nesso di causalità tra il momento dell’incubazione e quello della morte”, dicono i magistrati.

Già, perché quando iniziarono le prime cause di amianto, le potenti controparti (non solo Eternit, ma potenze come Eni o come Ferrovie dello Stato, Officine Grandi Riparazioni di Bologna) si presentarono con controperizie scientifiche da centinaia di migliaia di euro; a riprova che la giustizia sarà pure uguale per tutti, ma se l’affronti con un bel malloppo è ancora meglio. Secondo il principio medico legale che finora ha prevalso, essendo anche una singola fibra potenzialmente letale, non esistendo una soglia letale oltre la quale il rischio di ammalarsi si azzera, risulta arduo addossare la responsabilità penale, oltre “ogni ragionevole dubbio”, ad un singolo imputato. L’amianto era ovunque.

In base a tale paradossale principio, sono rimaste tante storie di mostruosa ingiustizia stragista in Italia. Casale Monferrato è stata una vera e propria Chernobyl italiana, con centinaia e centinaia di vittime. Nonostante oggi al posto del grande stabilimento Eternit sorga lo splendido parco Eternot e la città cerchi di ritrovare un suo piccolo equilibrio, dopo i lutti e le profonde delusioni in seguito alle azioni legali, cercando di cullarsi nel bel paesaggio, tra un Po ancora snello e giovane da una parte, e le dolci colline ricoperte di vigneti dall’altro, visitandola ho avuto l’impressione di un fondo permanente e indissolubile di malinconia. Un po’ come Hameln, la città delle fiabe in cui bambini e topi furono portati via dal pifferaio magico, parodia della peste manzoniana che tormentò l’Europa, e che rimase per anni la più silenziosa città della Germania. Anche Casale ebbe il suo pifferaio, quando di fronte al preoccupante aumento di mortalità, quando la gente cominciava a farsi domande, l’azienda finanziò generose campagne antifumo tra gli operai.

E noi eravamo presenti, quando il sostituto procuratore Iacoviello presso la Corte di Cassazione decretò la fine del processo Eternit. “Il giudice deve sempre tentare di calare la giustizia nel diritto, se è convinto della colpevolezza deve sempre cercare di punire un criminale miliardario che non ha neppure un segno di umanità e – prima ancora – di rispetto per le sue vittime (sic!, ndr). Ma ci sono dei momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte. E’ naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia ma quando il giudice è posto di fronte alla scelta drammatica tra giustizia e diritto non ha alternativa. E un giudice sottoposto alla legge, tra giustizia e diritto, deve scegliere il diritto”.

Ma anche dopo le parole del giurista, mai perdere la speranza, come detto all’inizio. Dopo diversi anni, nuove certezze scientifiche si sono fatte largo. Ci sono state le prime condanne per omicidio colposo, nel processo di Vercelli, nei confronti dello stragista d’oltralpe. Quanto ciò possa portare ai risarcimenti, essi stessi parte della giustizia, nei confronti dei familiari delle vittime è tutto da vedere. Ma bisogna guardare avanti e bisogna lavorarci. E’ necessaria un’azione sindacale urgente e senza sconti volta alla bonifica delle coperture in cemento amianto degli stabilimenti, ancora largamente presenti. E’ necessaria un’azione politica, di lotta e di rivendicazione, che tenga conto della tragica lezione dell’amianto, quando l’evidenza scientifica ed epidemiologica fu consapevolmente taciuta in favore degli enormi profitti di un materiale dalle grandi qualità ingegneristiche. L’Eternit era ignifugo, antisismico perché leggero, resistente, fonoassorbente e poco costoso. Ma, a dispetto del nome, non è affatto eterno. Si sta corrompendo, anno dopo anno, rilasciando fibre dello spessore di 4 nanometri, venti volte più sottili di un capello umano. Affinché questa strage silenziosa si arresti, tutto l’amianto che c’è in giro deve sparire. Ci sono parti del mondo dove ancora si costruisce con questo materiale, come l’India o la Russia, dove lo stragista si sta ancora arricchendo. Tutto questo non è archiviabile. L’amianto, prima o poi, salta sempre fuori.

Davide Vasconi
R.L.S.T., Dipartimento igiene e sicurezza Cgil Reggio Emilia

Pubblicato il 19 Settembre 2023