Quell’autonomia che vorrebbe ingabbiare i salari

Il ministro dell’Istruzione e del merito ha proposto (prima di fare marcia indietro) di differenziare gli stipendi degli insegnanti fra nord e sud d’Italia. La motivazione data è che al sud i prezzi sono più bassi che al nord. Ha specificato che gli stipendi del nord andrebbero aumentati senza diminuire quelli del sud. Già così dovrebbe spiegare perché lo stanziamento per i prossimi CCNL del Pubblico impiego è praticamente pari a zero.
Inoltre, dovrebbe spiegare se gli stipendi degli insegnanti al sud dovrebbero aumentare anche se meno di quelli del nord, oppure se dovrebbero rimanere fermi e soggetti ad essere mangiati dall’inflazione. E’ evidente che un tale progetto trova un senso solo nella logica leghista della secessione.
Ma guardiamo alcuni numeri secondo i dati dell’INPS del 2021 (i più aggiornati).
Per quanto riguarda i dipendenti privati la differenza rispetto alla media complessiva dei salari nelle isole è di -28,9%, nel sud di -27,3%, mentre nel nord è di +12.7%. In generale il centro si avvicina al nord.
Tale differenza dipende da molti fattori: la maggiore presenza di lavoro nero al sud e la struttura più frammentata delle aziende, il fatto che la contrattazione aziendale è concentrata quasi solo al nord, la maggiore precarietà del lavoro al sud che è evidenziata dal numero delle settimane di contributi versati che in tutta Italia in media è di 40,4 nell’anno, mentre al sud è di 36,5 e al nord di 42,3.
Discorso analogo può essere fatto anche per i lavoratori autonomi.
Invece i dipendenti pubblici, in generale non solo gli insegnanti, vanno in controtendenza. Rispetto alla retribuzione media al nord gli stipendi sono a -2,9% mentre al sud sono al +0,5%.
Nella scuola tale differenza aumenta, addirittura a favore del sud. Gli stipendi medi al sud sono +6% rispetto alla media e al nord è a -3,3%. Tale differenza nella scuola ha come motivazione la forte presenza del rapporto di lavoro a tempo determinato che è addirittura il 33,1% del totale, ma al nord tale percentuale è più alta e arriva al 37,9% del totale, mentre al sud è “solo” del 25,9%. Questa differenza sul precariato a sfavore del nord spiega quasi per intero la differenza nella media; infatti per i contratti a tempo indeterminato lo stipendio è sostanzialmente uguale al nord e al sud ed è pari al netto a circa 1600 euro, tenendo conto che sono compresi bidelli, tecnici, ecc.
Il Pubblico impiego è un comparto in cui la differenza salariale su base territoriale degli stipendi non è ancora passata, quindi è un fattore di unità nazionale e dei lavoratori intollerabile per il Ministro Valditara, in accordo anche con certi liberal/sinistri come Tito Boeri. Oltretutto aumentare le differenze a favore del nord favorirebbe l’emigrazione verso il nord, impoverendo professionalmente il sud che già è svantaggiato.
Va rilevato anche l’importo medio delle retribuzioni che nel P.I. è più alto, pari a 33.598 al lordo contributivo, che corrispondono a circa 1780 euro netti al mese.
L’importo medio dei dipendenti privati è significativamente più basso: 22.851 annui al lordo contributivo, pari a circa 1390 euro netti al mese.
La differenza fra dipendenti pubblici e privati dipende da molti fattori, compresa la maggiore presenza in percentuale nel P.I. di dirigenti in molti settori e di medici nella sanità. Inoltre, andrebbe approfondito in realtà il tema delle privatizzazioni, che comporta il passaggio di un gran quantità di lavoratori/trici dal lavoro pubblico più tutelato al lavoro in appalto, e quindi privato, pagato molto di meno, e in cui è presente la differenza territoriale.
In ogni caso, il confronto fra lavoratori pubblici e privati mostra che la auspicata differenza territoriale degli stipendi fra nord e sud non porta ad un aumento degli stipendi, anzi.
Dai dati dell’INPS si deduce che in realtà il primo problema da affrontare nella scuola è quello del precariato.
Ci sono poi le “sorprese” della statistica. Sarà anche vero che al sud i prezzi sono mediamente più bassi che al nord, però nel 2022 l’inflazione è salita di più al sud che al nord.
L’inflazione complessiva nel 2022 è stata del 11,6%, ma quella del carrello della spesa (cioè dei beni di prima necessità) è aumentata del 12,3%. Infatti, l’inflazione è più alta relativamente ai beni incomprimibili “abitazione, acqua, elettricità e spesa” (+34,9%) e “beni alimentari” (+8,9%) e quindi grava di più sui nuclei familiari a basso reddito concentrati più nel Mezzogiorno che al nord. In sostanza è il reddito più basso al sud che impoverisce il sud senza migliorare la condizione dei lavoratori al nord. Ancora una volta l’aumento della disuguaglianza è un fattore di impoverimento complessivo, tanto che i nuovi poveri sono aumentati di 750.000 unità nel 2022 di cui i due terzi al sud.
E’ un CCNL tutelato e ugualitario che riduce le disuguaglianze e migliora la condizione economica dei lavoratori, laddove le differenze sono minori come nella scuola e nel PI a maggior ragione il CCNL deve essere tutelato. Le previsioni di inflazione nel 2023 ci dicono che ci sarà un calo rispetto al 2022 ma ci dicono anche che al Sud l’inflazione resterà maggiore: +5,7% contro il +4,5% previsto nel Centro-Nord.
Nel privato come nel pubblico il problema italiano è quello di aumentare salari e stipendi per tutti: l’Italia è l’unico paese europeo in cui i salari e gli stipendi negli ultimi 30 anni sono diminuiti del 2.9%.
Il Ministro inoltre propone di fare in modo che la scuola vada a chiedere finanziamenti ai privati. Certamente questo favorirebbe ulteriori grandi differenze fra nord e sud vista la differenza territoriale presente nel mondo del lavoro. La questione principale in questo caso è quella dell’ulteriore dequalificazione della scuola. Il ministro, da buon leghista, è di quelli che pensano che la scuola dovrebbe creare lavoratori adeguati al mondo del lavoro. Il lavoro in Italia è mediamente molto dequalificato o comunque precario e pagato poco e questo dipende non dalla scuola, ma dal sistema produttivo. In una logica del genere, a cosa serve la cultura? Salvo forse ripristinare per intero un sistema scolastico in cui una piccola minoranza privilegiata viene indirizzata agli “studi alti”, perché è con questi che si forma la classe dirigente.
La destra e i liberisti di destra e di sinistra convergono nella centralità dell’impresa anche rispetto alla scuola e alla cultura, così come nell’aumento delle disuguaglianze. E’ per questo che va contrastata la differenziazione territoriale degli stipendi laddove, come nella scuola, non esiste.
Gianni Paoletti

Pubblicato il 7 Febbraio 2023