L’escalation militare come pratica politica

Che si sia rispolverato il motto latino “Si vis pacem parabellum” non è casuale, e non è neanche folcloristico, come può esserlo il busto di Mussolini spolverato da La Russa o il saluto romano di Acca Larentia: si tratta di rifarsi alla strategia di dominio della Roma imperiale. Del resto, il fascismo si è sempre richiamato alla Roma Imperiale ed imperialista. Una strategia di guerra in cui la pace era soltanto un periodo saltuario finalizzato alla riscossione ed inventario del bottino e delle conquiste e di preparazione della guerra successiva. Il motto latino è fascista, mentre noi dovremmo tutti attenerci anche nel linguaggio, oltre che nei fatti, al precetto costituzionale antifascista secondo il quale “L’Italia ripudia la guerra”.

Stiamo invece assistendo ad uno scenario di guerre feroci e sanguinose in corso e ad un dibattito politico che teorizza e pratica una escalation militare di investimenti ingenti e prioritari in nuovi e maggiori armamenti e di ritorno ed estensione della leva militare a uomini e donne di nuove e diverse generazioni di cittadini e cittadine.

Nell’anno appena trascorso la spesa militare di armi nel mondo ha raggiunto la stratosferica cifra di 2.500 miliardi di dollari e cresce ormai strutturalmente ogni anno da nove anni a questa parte. I paesi della Nato sono 32 su 193 totali, poco più del 15% delle nazioni, e spendono il 62% del totale delle spese militari mondiali. Si vuole fare credere all’opinione pubblica europea che esiste una minaccia militare da parte della Russia, che spende in armamenti poco più di 60 mila miliardi di dollari, ossia meno di un quinto di quanto spendono i paesi dell’UE, e meno di un decimo di quando spendono gli USA.

Le basi militari Nato in Europa sono 343 e gli stati membri della Nato – dai 12 della fondazione e dai 19 nel periodo della guerra fredda – sono saliti a 32, quindi più 13, di cui 12 sono paesi dell’Est europeo della ex Unione Sovietica e della ex Jugoslavia. Un’alleanza militare “difensiva” che ha bombardato, a partire dalla Corea nel 1950, 65 nazioni estere sovrane. L’espansione della Nato è andata di pari passo al declino dell’ONU, fino a farlo diventare quasi una caricatura, senza risorse, senza prerogative e neutralizzato dal diritto di veto del Consiglio di Sicurezza.

È veramente preoccupante sentire i maggiori leaders europei accantonare la transizione ecologica, blaterando invece di emergenza sicurezza e difesa, invocando l’aumento delle spese militari e la formazione dell’esercito europeo. Sentire la Meloni schernire il pacifismo ed esaltare la “deterrenza” come unica arma per garantire la pace.

Ma la deterrenza è utile in tempo di pace o di guerra fredda tra blocchi contrapposti, per evitare la guerra; ma se c’è la guerra, significa che la deterrenza ha fallito e continuare a praticarla in costanza della guerra significa alimentarla, non farla cessare.

Continuare a parlare di “vincere”, “di invasori ed invasi” e mostrificare uno dei contendenti, non serve per il ‘cessate il fuoco’, né serve per la trattativa: dopo aver fatto il tifo per l’Ucraina e criminalizzato Putin, l’Europa si è preclusa ogni possibilità di esercitare un ruolo di mediatore. E nel caso che il tifo non bastasse, si decide di conseguenza che “arrivano i nostri”: i nostri figli e nipoti.

È stato fatto un processo mediatico a Papa Francesco, perché ha con molta chiarezza affermato che oggi più che il coraggio di combattere, serve il coraggio di trattare; e per trattare serve un riconoscimento delle ragioni dell’altro. Il coraggio di trattare soprattutto per evitare la sconfitta. Serve quindi un primo passo proprio da chi è più debole militarmente. Se ti chiedo se sei disposto a trattare, la risposta non può essere che “Putin non vuole”: dimmi se tu sei per la trattativa, e poi si verificherà se Putin non vuole trattare.

Se ci si prepara alla trattativa, occorre partire dal presupposto che se tu Ucraina vuoi riconquistare pace, sovranità e libertà di scegliere di collocarti dentro la Nato, non puoi pensare di riprendere sovranità sulle regioni del Donbass. Stiamo infatti parlando di una sovranità che non sei riuscita ad esercitare con le buone, non applicando gli accordi di Minsk, né con le cattive. Sarebbe impossibile e foriero di conflitti imperituri immaginare di far transitare territori con una maggioranza di popolazione di origine Russa nella Nato, obbligarli ad un’appartenenza e cittadinanza atlantica, occidentale.

La trattativa era iniziata e pareva possibile, dopo qualche settimana di guerra; e, ad occhio, i Russi avevano già il controllo del Donbass. Ma quella trattativa è stata interrotta, con la strategia della deterrenza, mettendo sul piatto le armi della Nato ed il sostegno economico e militare degli USA. Ed eccoci dopo oltre due anni di guerra, tra offensive e controffensive e qualche centinaio di migliaia di morti. Con le città e i villaggi in macerie, e i confini sono grosso modo quelli delle prime settimane. La deterrenza ha fallito.

Per non dire dell’altro atroce conflitto, quello di Israele contro il popolo palestinese. Spesso nel dibattito pubblico si usano similitudini e paragoni fra la guerra fra Russia ed Ucraina e Israele e Palestina, ma, a mio avviso, non ci sono paragoni,

La guerra scatenata da Israele è una guerra illegale perché dichiarata ad un popolo che non ha uno Stato né un esercito. Una guerra scatenata in risposta ad un raid terroristico d’inaudita ferocia, che però non può essere vendicato da una guerra verso civili inermi, donne e bambini. Non soltanto non è possibile secondo il diritto internazionale, ma anche perché esiste già un precedente fallimentare di cui si sono resi responsabili gli USA, in risposta all’attentato dell’11 settembre, del quale si dovrebbe fare tesoro. Ma Israele non sente ragioni e si sta macchiando di crimini di guerra che non hanno precedenti nella storia dell’uomo. Infatti sta producendo una guerra totale, fatta non solo di azioni militari e di bombe, ma anche di azioni che impediscono agli abitanti di Gaza di bere e di mangiare, di curare i feriti. Impediscono anche l’azione umanitaria delle associazioni di volontariato, e in nessun conflitto precedente, era mai accaduto che venissero uccisi oltre 200 persone fra giornalisti e operatori umanitari.

Anche in questo conflitto in Medioriente si produce una narrazione taroccata.

Come non vedere quanto possa suonare ipocrita richiamare pedissequamente il 7 ottobre dopo sei mesi di massacri e distruzione, con oltre 30 mila morti e l’intera popolazione di Gaza sfollata, mutilata, malata e denutrita. Quanto sia colpevolmente fuorviante parlare di guerra ad Hamas, quando si tratta di una guerra al popolo palestinese, o di azioni contro Hezbollah, quando sono azioni contro il Libano. E pensare che in Libano ci sono soldati italiani, un contingente di interposizione chiamato a garantire la pace in quel territorio, e la Meloni è andata a parlare di deterrenza proprio a quei nostri soldati: chissà come si porrebbe il nostro governo di fronte ad un “incidente”, qualora Israele dovesse mai colpire il contingente Nato guidato dall’Italia in Libano? Dopo che è stato bombardato il consolato iraniano in Siria…

Il problema e che non è vero che siamo tutti pacifisti: ci sono forze e poteri che vogliono la guerra.

E occorre purtroppo convincersi che il sistema capitalistico, dopo essere scampato al pericolo di un suo superamento ad opera delle rivoluzioni proletarie, dopo essere scampato al pericolo di essere trasformato dal riformismo socialdemocratico ed aver dilagato senza lacci e lacciuoli nella stagione del pensiero unico ultraliberista, oggi è alle prese con un pericolo esistenziale, forse ancora più grave. E’ infatti dilaniato dalle sue contraddizioni interne, si potrebbe dire entropiche, aperte dall’usura irrecuperabile delle risorse del pianeta e del suo declino biologico inesorabile, così come dall’emergenza ambientale. E per difendere se stesso non gli rimane che investire sulla guerra e soprattutto sulla economia di guerra: l’unica in grado di svuotare le democrazie e di saltare a piedi pari ogni potenziale reazione delle società civili.

Quindi, se non è vero che siamo tutti pacifisti, è però vero che l’opinione pubblica mondiale è contro le guerre: lo attestano tutti i sondaggi. E se i governi volessero rispettare la volontà popolare dovrebbero decidere una norma universale molto semplice: “ripudiare la guerra”, disarmare gli eserciti e convertirli in reparti di “protezione civile”. Stabilendo che rimane un solo esercito armato sotto il comando dell’Onu, con la missione di difendere la pace e la convivenza sul pianeta.

Pietro Soldini

Pubblicato il 9 Aprile 2024