L’autonomia differenziata che scasserà il Paese

Un enorme striscione con la scritta “Non ci scassate il Paese”, sorretto da Sindaci e Sindache in fascia tricolore, ha aperto l’immenso corteo che si è snodato il 16 marzo scorso da Piazza Garibaldi a Piazza Plebiscito a Napoli.

Il progetto di autonomia differenziata e il ddl ‘Calderoli’ che lo vuole portare a compimento vanno bloccati e ritirati perché l’autonomia differenziata fa male, e lo fa in ogni settore cruciale della nostra vita individuale e collettiva, in ogni luogo dove i nostri corpi chiamano alla responsabilità collettiva, a diritti in ugual modo condivisi.

Verrà compromessa definitivamente la possibilità di curarsi, di godere di una scuola libera e maestra di libertà, pubblica, gratuita, comune. Verrà posto sotto ricatto ogni diritto del lavoro: tutele e sicurezza saranno diverse per regione, si riaffacceranno le gabbie salariali, la forza unita della sindacalizzazione verrà spezzata e ci troveremo persone divise, anche nemiche.

Con un lavoro così spezzettato si morirà di più perché al far-west di appalti e subappalti si aggiungerà il far-west delle normative, in particolare sulla sicurezza. La nostra diverrà una “Repubblica fondata sulla morte” (non dice esattamente così l’art. 1 della Costituzione del ’48 nata dalla Resistenza). In un paese impoverito nei diritti e allo sbando perché diviso, e peraltro tristemente orientato alla guerra, tutto questo si abbatterà sulla nostra fiducia nel futuro, nonché sulle nostre buste paga e sulla loro capacità reale: poveri e povere di diritto, diritti e di fatto.

Chiariamolo. Queste non sono semplici possibilità, rischi o pericoli, “può accadere che”, ma hanno la dura realtà della certezza. Non siamo sull’orlo delle sabbie mobili, ci siamo dentro e dobbiamo agire subito prima di sprofondare. Questa urgenza è stata ribadita da tutte le presenze alla manifestazione di Napoli: Sindaci e Sindache, Consiglieri/e che, con i Comuni impoveriti, si presenteranno a mani vuote e impotenti davanti alla cittadinanza; associazioni, partiti, sindacati; studenti e studentesse, in particolare le decine arrivate con Eliseo Tambone da Corato, in Puglia, a chiedere con determinazione un Paese unito (“il Nord ha bisogno di noi”) e a chiedersi dove sia il resto della Scuola, dove siano altri studenti e studentesse e i loro docenti. Serve di più, molto di più.

Le varie migliaia di persone presenti, in una coralità abbracciante ogni parte del Paese, sono state un risultato eccezionale per una piccola forza organizzativa del tutto autonoma, quella dei Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata e del Tavolo NO AD, in particolare quello di Napoli. I Comitati hanno saputo, nei cinque anni trascorsi, portare una questione vitale al dibattito pubblico, tessere una rete larghissima di compagni e compagne di marcia “senza dover rispondere a nessuno” (come sottolinea Tonia Guerra, Bari), costruire con continuità e rigore iniziative ovunque: webinar, come i recentissimi su autonomia differenziata e donne, e sull’autonomia differenziata vista dagli occhi delle organizzazioni universitarie e giovanili; presìdi contemporanei nelle principali città italiane come quello del 16 gennaio, data di ingresso del ddl in Aula al Senato; il Convegno nazionale di Milano del 24 febbraio.

Tuttavia, il contrasto all’autonomia differenziata non è ancora diventato un fenomeno di massa, nonostante i rilievi eccellenti quali quelli di Confindustria, Bankitalia, dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, della CEI e di svariati Vescovi. Nel comunicato post-manifestazione di Tavolo e Comitati si legge un invito all’impegno di ogni forza, senza reticenze né concessioni, impegno convinto nelle parole e nei fatti, pacificamente duro, rigoroso: “in Parlamento venga esercitata ogni possibile forma di opposizione e ostruzionismo; nella società si faccia crescere la protesta servendosi di tutti gli strumenti che la democrazia offre”. È per questo che Comitati e Tavolo lavorano anche nella Via Maestra, spingendo verso una lotta collettiva che abbracci e irraggi le iniziative di ciascuno.

Il 16 marzo è stata una grande giornata di partecipazione, iniziata con le parole di fuoco di Marisa Laurito, interprete del dolore del Sud, accompagnate dall’intervento di Lorenzo Varaldo arrivato da Torino, capace di incitare allo sforzo collettivo esattamente adesso, perché è questo il momento di scardinare un progetto eversivo che altrimenti ci condannerà. Dopo sarà troppo tardi. Il Presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo, che avrebbe voluto partecipare, ha lasciato un intenso messaggio letto da Marina Boscaino che, nel suo intervento conclusivo a Piazza Plebiscito, dopo aver parlato della inaccettabile normalizzazione del dolore capace di non farci sentire responsabili della fabbrica di morte in cui viviamo immersi (lavoro, guerra, tragedie del mare), ha chiamato tutti e tutte a raccolta attorno ai “princìpi fondanti della Repubblica, che sono la forza di tutti noi”, aggiungendo che “nessun referendum, nessun ricorso in Corte Costituzionale saranno efficaci se la nostra mobilitazione non si trasformerà in un grande movimento di cittadini/e”. Al corteo hanno sì presenziato e parlato Giuseppe Conte, Roberto Fico, Giuseppe De Cristofaro, che i Comitati ringraziano, ma i leader non bastano, né qualche rappresentante (e tutti i partiti di centrosinistra e sinistra erano effettivamente rappresentati alla manifestazione). Servono i e le militanti, servono le persone, serve che le persone prendano sempre più coscienza della ragnatela che le sta lentamente strangolando: è compito, obbligo morale e politico, delle grandi forze sindacali, politiche, associative informare, spiegare, mobilitare, chiamare a raccolta uomini e donne.

Le donne saranno le prime ad essere trafitte dall’autonomia differenziata, quando il welfare sottratto e privatizzato ricadrà sulle loro spalle, quando saranno le prime ad essere licenziate e a ri-precarizzare il loro lavoro, quando il progetto di liberazione ed emancipazione (le parole delle donne) che è la nostra Costituzione repubblicana verrà disatteso del tutto. E le donne hanno fatto risuonare le loro voci nella giornata del 16: Elena Coccia e Marcella Raiola, instancabili artefici della manifestazione, Maria Longo di Bologna, Carmen D’Anzi dalla Basilicata, Francesca Fornario, che ha nutrito della sua esperienza di giornalista satirica gli interventi conclusivi, tra cui quello profondamente umano di un testimonial d’eccezione, Alex Zanotelli. E tante altre. Un grazie grande è stato rivolto dalla Piazza a Rita Campioni, Lombardia. Tante voci, accorate, impegnate, gridate.

Teniamoci stretti e strette in questa marcia, e non dimentichiamo che è un altro orizzonte quello che vorremmo far apparire, uno spazio ed un tempo in cui siamo capaci di attenzione per tutte e per tutti, in cui le parole di morte vengano sostitute da parole di vita, il tempo breve di chi sa uccidere e dominare venga sostituito dal tempo lungo di che sa coltivare e sa partorire. Non sentiamo il bisogno di nuovi monarchi che governino la nostra Repubblica né di nuovi principi o capoclan che spadroneggino nelle nostre regioni.

C’è una genealogia di donne che ci insegna la lontananza sia dalla guerra sia dal potere, soprattutto quando assoluto, privo di vincoli, padre padrone ed egoista. Basta con quel “grammofono rotto che va gracidando Giro giro tondo, gira intorno al mondo; lo voglio tutto io, è mio, è mio, è mio” (V. Woolf come, poche righe sopra, S. Weil).

L’egoismo regionale è molto vorace, vuole per sé. Il privilegio che certe Regioni avocano a sé genererà un privato famelico che ci inghiottirà, regioni ricche come regioni povere. La partecipazione alla cosa comune scomparirà di fronte all’avanzare della retorica del capo (“Governatore” regionale o nuovo “Premier” che sia) che vive anche su sistemi elettorali resi capaci di indebolire la democrazia reale. Le fasce medie della popolazione con l’autonomia differenziata precipiteranno assieme alle più deboli. Vogliamo questo?

Dianella Pez

Esecutivo nazionale Comitato “contro ogni autonomia differenziata”

Pubblicato il 26 Marzo 2024