Se nel conflitto ucraino esplode la crisi del capitalismo

Il capitalismo è costellato da crisi ricorrenti, scandite da due movimenti correlati, le onde lunghe economiche e le crisi di egemonia. Le onde lunghe riflettono la maturità dei grandi cicli tecnologici (caduta del saggio di profitto per l’eccesso dei mezzi di produzione e la carenza di domanda solvibile), col declino dell’economia produttiva e la finanziarizzazione, che per Braudel “è il segnale dell’autunno”, e sfociano in una crisi che sgombera le macerie del vecchio ciclo produttivo avviando un nuovo ciclo tecnologico e la periferizzazione subalterna di economie prima esterne al mercato, oggi ormai scomparse. Le crisi di egemonia della potenza dominante coincidono con la fine di un’onda lunga, ed aprono una “guerre di successione”, come le due guerre mondiali per il declino dell’impero britannico, concluse con la vittoria degli Stati Uniti e il “secolo breve americano”, aperto con gli accordi di Bretton Woods, che hanno prodotto i “trenta gloriosi” anni dello sviluppo postbellico, terminati nel ’71 con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro e la crescente finanziarizzazione e smaterializzazione della moneta, sfociata nelle criptovalute.

Keynes aveva proposto una moneta apolide, il bancor, ma gli Stati Uniti, vittoriosi, avevano imposto il dollaro, dal cui signoraggio hanno tratto un enorme finanziamento gratuito da parte degli altri Paesi ed un tenore di vita al di sopra delle proprie possibilità. Dopo la spartizione di Yalta in due sfere d’influenza, Truman aveva iniziato la caccia alle streghe e la guerra fredda, con la creazione della Nato, per il controllo americano dell’occidente con eserciti segreti (Gladio-Stay Behind, l’Anello, la P2), la cacciata dei comunisti dai governi di Italia e Francia, la scissione sindacale e gli attentati della strategia della tensione a manovalanza fascista, e con circa 200 interventi militari e golpe all’estero.

Il blocco sovietico aveva risposto col Patto di Varsavia, sfociato negli interventi a Budapest e Praga. La coesistenza pacifica bipolare derivava dai rischi di fine del mondo d’un conflitto nucleare, ma l’orologio dell’apocalisse era giunto vicino alla fine quando, dopo il fallimento dell’invasione americana della Baia dei porci, Cuba aveva chiesto la protezione di missili sovietici e Kennedy aveva minacciato la guerra atomica, costringendo Kruscev a ritirarli, dando inizio all’equilibrio del terrore, fondato sulla mutua distruzione assicurata.

Reagan ha scelto lo scontro con l’Urss impero del male, con la Dottrina Kirkpatrick, per cui i nostri dittatori vanno difesi come baluardo contro i governi di sinistra, che è invece legittimo rovesciare come in Cile. Il vecchio meccanismo di ripresa su nuove ondate tecnologiche causa solo effimere bolle finanziarie come il dot.com della new economy, per cui l’economista Larry Summers ha sostenuto che è in atto una “stagnazione secolare”, già prevista da Alvin Hansen nel 1938, ma evitata allora dalla ricostruzione postbellica, per cui molti pensano che proprio la guerra sia la soluzione per uscire dall’attuale crisi.

Gli Stati Uniti hanno cercato un rimedio al loro declino, col “big bang” delle privatizzazioni e deregolazioni della globalizzazione finanziaria neoliberista e il governo informale dell’economia mondiale del “consenso di Washington”, accompagnato dalla Commissione Trilaterale e dal Club Bilderberg, entrambi fondati da David Rockfeller, e militarmente con le corsa al riarmo delle “guerre stellari”, apparentemente difensive, ma in realtà offensive, per rompere l’equilibrio e consentire il “primo colpo” distruttivo bloccando la ritorsione avversaria, il cui enorme costo ha fatto implodere l’Urss, nel tentativo di tenere il passo della corsa al riarmo, per cui gli Stati Uniti sono diventati l’unica potenza mondiale. Fukuyama ha parlato di fine della storia col successo del neoliberismo e invece è iniziato il caos sistemico, col passaggio dalla Guerra Fredda a quelle calde, con la scusa dell’esportazione della democrazia, definite, dal subcomandante Marcos e poi da Papa Francesco, la Terza guerra mondiale strisciante degli Stati Uniti per conservare il proprio dominio e la centralità del dollaro. Gorbačëv aveva avviato una strategia conciliativa fondata sulla democratizzazione e sul disarmo, con la riunificazione tedesca in ambito Nato e lo scioglimento del Patto di Varsavia, a fronte dell’impegno degli Stati Uniti ad evitare l’allargamento ad Est della Nato neppure d’un centimetro, negato da Stoltenberg ma documentato da Der Spiegel. Dopo aver fondato, nel ’97, il neocon Pnac (Project for the New American Century), la famiglia Kagan (con Victoria Nuland) ha plasmato oltre mezzo secolo di politica estera americana, conquistando le più alte cariche dell’amministrazione sia democratica che repubblicana, specie con la Dottrina Bush dall’11 settembre 2001. Hanno accusato i presidenti americani di debolezza, spingendoli, col pretesto dell’esportazioni della democrazia, a difendere gli interessi strategici degli Stati Uniti con una politica aggressiva di destabilizzazione nei confronti degli avversari, per impedirne il sorpasso anche a costo d’una guerra nucleare.

Il nemico strategico è la Cina, ma quelli intermedi sono la Russia (che volevano distruggere, attaccandola dall’Ucraina, e spezzandola in quattro Stati) e l’Europa, potenziale concorrente da dividere dalla Russia, per impedirne il primato economico. La Nato, passata in pochi anni da 12 a 32 membri, è entrata nel cortile di casa della Russia, spostando la cortina di ferro di 1500 km ad est, ai suoi confini per strangolarla. La Russia, indebolita da Eltsin, ha dovuto ingoiare il rospo, ma Putin ha chiesto più volte che “la Nato rinunci pubblicamente all’espansione nelle ex repubbliche sovietiche di Georgia e Ucraina, richiamando le forze statunitensi ai confini del blocco del 1997”, ricevendo la risposta di Scholz (“l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è in agenda”), poi dimostratasi falsa.

L’ingresso dell’Ucraina nella Nato è una minaccia diretta (ricordiamo la guerra nucleare minacciata da Kennedy per i missili a Cuba, molto più lontani dai centri nevralgici statunitensi) per ridimensionare la Russia ad un ruolo regionale, ma va ricordato che l’Ucraina è la culla dove è nata la Russia, con la dinastia ininterrotta più longeva del pianeta, fino alla Rivoluzione d’ottobre; ed i maggiori politici, scrittori e poeti russi erano ucraini e dunque è inconcepibile per un russo un’Ucraina separata e nemica, paragonabile alla Toscana in Italia.

È assurdo il discorso che dopo l’Ucraina la Russia invaderebbe l’Europa, perché il suo obiettivo è quello di contenere una minaccia al proprio territorio nazionale, di cui storicamente l’Ucraina fa parte, e non certo di attaccare la Nato, che produrrebbe un conflitto mondiale diretto. La rivista American Conservative ha ricordato che nel 2014 la Nuland, con l’allora vicepresidente Biden, è stata la neocon promotrice del golpe che, usando milizie naziste scese dalla Galizia e tiratori scelti georgiani, ha cacciato il presidente eletto Janukovyč, dettando all’ambasciatore statunitense il nome del nuovo premier e la lista dei ministri, rispondendo “fuck Europe” ai suoi dubbi sull’atteggiamento europeo, e attuando il passaggio di Kiev nella sfera di influenza americana, dando inizio così alla guerra di repressione delle repubbliche autonome del Donbass, con oltre 15.000 morti, e alla guerra per procura americana in Ucraina. Obiettivo era anche quello di interrompere ogni rapporto, pericoloso per il controllo americano, fra Europa e Russia, giungendo fino al sabotaggio del gasdotto Nord Stream e causando gravi danni all’economia tedesca ed europea. Sono state numerose le esercitazioni della Nato in Ucraina, che non vi apparteneva, con la realizzazione di 30 laboratori per la guerra biologica ai confini russi. Putin s’è mosso su richiesta delle Repubbliche del Donbass quando era ormai imminente una grande offensiva contro di loro. Henry Kissinger, contrario a questa politica, aveva avvertito che sarebbe arrivato un conflitto armato se gli Stati Uniti avessero proseguito su quella strada.

Ad uscire sconfitta da questo conflitto è certamente l’Europa, a causa della pochezza della sua classe dirigente, a cominciare dalla Commissione Europea, disinteressata a risolvere la crisi in Ucraina esplosa nel 2014, lasciandone la gestione in mano agli Stati Uniti alla Gran Bretagna che avevano tutto l’interesse ad aggravare la situazione, bocciando gli accordi di Minsk, proprio per indebolire un’Europa che, oltre ad essere un concorrente economico, puntava a raggiungere una maggiore autonomia strategica ed è divenuta perciò una semplice comparsa, geopoliticamente irrilevante e paga un prezzo altissimo in termini di declino economico; a partire dalla crisi economica della Germania, che trascina al basso gli altri Paesi, di deindustrializzazione, di sicurezza energetica, anche a causa delle centinaia di miliardi spesi per donate in rapida successione grandi quantità di armi e munizioni all’Ucraina (spesso aspramente contestate dai vertici militari) che hanno svuotato i propri arsenali di armi. E spingono oggi il Vertice europeo a parlare di riarmo e di economia di guerra, che graveranno ulteriormente sulla instabilità sociale e la deriva politica verso l’estrema destra sovranista. L’Europa ha imposto alla Russia sanzioni che hanno danneggiato assai più sé stessa e che vengono ulteriormente aggravate dai dazi sull’import di grano duro, essenziale per i nostri consumi ed esportazioni di pasta. La premier Meloni s’è impegnata per 10 anni senza consultare il Parlamento, ha già messo a bilancio aiuti bellici per i prossimi 4 anni e dice che l’Ucraina è una sicurezza per l’Europa. La spesa bellica dell’Italia (+132% per armi nel decennio), deve salire dall’ 1,45% attuale al 2% del Pil, ma, costretta di nuovo nei parametri di Maastricht, può finanziare la guerra solo tagliando la spesa sociale, aumentando la povertà dei ceti popolari.

Dopo il fallimento della controffensiva su cui avevano contato per sconfiggere i russi, gli occidentali si trovano davanti ad una imminente sconfitta e pensano a due diverse strategie. Visto che ormai mancano (fra vittime e disertori) i soldati ucraini per proseguire la guerra, Macron ha sollecitando l’invio ufficiale di truppe (già presenti di fatto), col rischio d’una guerra nucleare, perché, data la debolezza di Ursula von der Leyen, vuole essere il dominus europeo del “Triangolo di Weimar” con Germania e Polonia (al posto dell’Italia), per governare il futuro negoziato per la spartizione dell’Ucraina, di cui la Polonia ha già prenotato la Galizia, patria delle milizie naziste, che ha posseduto per secoli.

Negli Stati Uniti pesa il veto repubblicano e molto dipenderà da una possibile vittoria di Trump, che ha già annunciato il proprio disimpegno, ma la strategia unilateralista dei democratici americani non vuole trattative, che porterebbero ad un assetto multipolare, e intendono prolungare la guerra il possibile, per logorare la Russia. Il prossimo 16 aprile i neocon hanno convocato a Washington il Forum delle Nazioni Libere della Post-Russia, a cui partecipano Stati Uniti, Polonia, Ucraina e i movimenti secessionisti della Federazione russa, che vuole disgregare la Russia in 41 stati indipendenti (un tempo i neocon pensavano a 4 stati).

Trump, si diceva, ha già annunciato il suo disimpegno, mentre Biden prospetta la costruzione di una Nato mondiale, già sperimentata con le manovre di Talisman Saber in Australia, ed una guerra di lungo periodo su larga scala. Con obiettivo finale la Cina.

Giancarlo Saccoman                                                           

Pubblicato il 26 Marzo 2024