Pensioni e perequazione: analizzare per non semplificare

Il Governo discute di pensioni e a quanto pare si limiterà a realizzare quota 103 (41 anni di contributi e 62 anni di età) che è un modo graduale per tornare integralmente alla legge Monti-Fornero. Inoltre verranno prorogate opzione donna e ‘ape sociale’. Un intervento light, al di là delle sparate propagandistiche e a quanto pare un rinvio di una vera riforma al 2024.
A fronte di questo, i sindacati lanciano dichiarazioni, ma poco o nulla fanno.
Nel frattempo, molti lavoratori e pensionati si stanno appassionando a discutere dell’aumento degli importi pensionistici derivante dalla perequazione pensionistica. Molti, troppi, dicono che è un’iniquità e che il sindacato dovrebbe vergognarsi: una cosa stupefacente, che segnala la regressione che è avvenuta nel dibattito fra i lavoratori (questa invece sì, è una responsabilità anche dei sindacati).
Per cui è utile provare a ricapitolare.
La perequazione pensionistica è l’ultima forma di scala mobile rimasta, esiste dal 1969 ed è stata modificata numerose volte, l’ultima volta in meglio su richiesta dei sindacati con la legge n.160 del 27/12/2019.
La rivalutazione prevista è del 7,3%, che fa riferimento ad un tasso di inflazione che corrisponde alla variazione dell’indice generale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, al netto dei tabacchi, che è uno dei tanti indici ISTAT esistenti. Tale percentuale è provvisoria: è previsto un conguaglio con l’inflazione definitiva di fine anno, che verrà pagato nel corso del 2023.
A decorrere dal 1/1/2023, l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni sarà il seguente:
a) per i trattamenti pensionistici fino a quattro volte il trattamento minimo INPS la rivalutazione sarà nella misura del 100 per cento dell’inflazione, quindi sarà pari al 7,3%;
b) Per le pensioni da 4 a 5 volte il minimo la rivalutazione sarà nella misura del 100 per cento dell’inflazione, quindi pari al 7,3%, per l’importo fino a quattro volte il minimo e nella misura del 90 per cento dell’inflazione, quindi pari al 6,5%, per l’importo superiore a quattro volte e inferiore a 5 volte il minimo.
c) Per le pensioni superiori a 5 volte il minimo la rivalutazione sarà nella misura del 100 per cento dell’inflazione, quindi pari al 7,3%, per l’importo fino a quattro volte il minimo, nella misura del 90 per cento dell’inflazione, quindi pari al 6,5%, per l’importo superiore a quattro volte e inferiore a 5 volte il minimo e nella misura del 75 per cento per l’importo superiore a cinque volte il minimo.
E’ un meccanismo che rivaluta in percentuale di più le pensioni basse rispetto a quelle alte. Questo si aggiunge all’effetto fiscale, che è progressivo e quindi salvaguarda di più le pensioni basse. Inoltre, le pensioni fino ai 2.692,00 euro hanno avuto un piccolo anticipo del 2% a partire dal mese di ottobre.
Dire che tale meccanismo favorisce le pensioni alte ed è iniquo, rappresenta una visione distorta.
In termini percentuali la distanza fra pensioni basse e alte in realtà così diminuisce.
E’ vero invece che è stata ripristinato il meccanismo di rivalutazione delle pensioni per le pensioni medie e alte, che negli anni passati era stato azzerato. Anche questo è un risultato positivo sia per equità, sia perché un meccanismo di rivalutazione delle pensioni, se interessa tutti, può essere difeso più facilmente.
Un altro svarione clamoroso è quello di chi dice che l’inflazione colpisce tutti in modo uguale in cifra assoluta. Sarebbe vero se il “carrello della spesa” effettivo fosse uguale per tutti, ma non è così. Infatti è molto diverso fra chi percepisce la pensione minima e chi percepisce una pensione media o alta. La perequazione pensionistica tende a recuperare il potere d’acquisto, cioè la capacità di spesa, al livello di ciascuno. Si può dire che è insufficiente, ma non che danneggia le pensioni basse.
Si confonde il recupero dell’inflazione con l’equità pensionistica. La prima è una forma di tutela che va difesa a tutti i costi dalle vere e proprie aggressioni tese al solito obiettivo di risparmiare sulla pelle dei pensionati; altra cosa è battersi per un aumento delle pensioni in essere a partire dalle pensioni più basse. Con questo meccanismo c’è stato un miglioramento per le pensioni, caso mai dovrebbero lamentarsi i percettori di pensioni superiori a tre volte il minimo, che per il futuro hanno un recupero più vicino alla realtà statistica, ma non recuperano il blocco della perequazione degli anni precedenti.
Infine, c’è qualcuno, particolarmente distratto, che ha pensato che tale aumento sia una decisione del Governo Meloni; e forse per questo, se è di sinistra, lo critica. Mentre il Governo non c’entra nulla, se non per un atto amministrativo obbligatorio per legge.
C’è da augurarsi che nessuno vada alle assemblee dei pensionati criticando tale meccanismo di recupero dell’inflazione; piuttosto lo si usi per sostenere che il semplice recupero contrattuale per i lavoratori è largamente insufficiente in epoca di inflazione alta. Caso mai è necessario un meccanismo di rivalutazione automatico anche per i lavoratori.
Gianni Paoletti

Pubblicato il 22 Novembre 2022