L’intelligenza artificiale: opportunità o minaccia?

L’appello di Gramsci ai suoi compagni affinché studiassero è del 1919. E non ha dovuto avere dubbi il politico (e il filosofo) su quali fossero le capacità intellettive su cui puntare per capovolgere i rapporti di forza economici: all’epoca, l’intelligenza era inequivocabilmente, indiscutibilmente ed esclusivamente umana.
Ma oggi, che l’intelligenza artificiale – determinata dalle innovazioni tecnologiche – in maniera pervasiva sembra imporsi nei luoghi di lavoro, nei servizi pubblici e privati, nelle piattaforme della socialità, Gramsci – nel suo appello – l’avrebbe ritenuta minaccia o strumento per migliorare la quotidianità e la prospettiva dei lavoratori?
Non possiamo saperlo, ovviamente. Troppo lontano – temporalmente e come contesto – il tempo delle riflessioni di inizio del secolo scorso. Nuove riflessioni, quindi, siamo chiamati ad elaborare relativamente alla nostra contemporaneità, anche partendo dalla sollecitazione di Gramsci. Di quale intelligenza avremo bisogno? Quella umana, quella artificiale, entrambe? E la nuova intelligenza, quella artificiale, è una minaccia o una opportunità?
Nessun dubbio che le macchine intelligenti sostituiranno forza lavoro – fisica ed intellettiva – degli esseri umani provocando distruzione di più posti di lavoro di quanti ne possano creare. Ma anche liberazione, probabilmente, dalla fatica, dalla pericolosità e dall’usura fisica insite in alcune attività lavorative. Elemento positivo, questo, se solo non vivessimo il paradosso – anche nelle stesse fabbriche – di ritmi di lavoro umani che aumentano mentre le intelligenze artificiali sono impiegate in attività lavorative creative, soddisfacenti e realizzanti, per le quali si fa fatica a capire la motivazione della sostituzione.
Ma la discussione – anche quando appare un anacronistico riemergere del paradigma luddista – è più complessa rispetto alla rivolta contro le macchine del primo periodo industriale. Le macchine dell’Ottocento e Novecento rischiavano di sostituire gli esseri umani sul luogo di lavoro, ma – sia pur problematica per gli operai dell’epoca – la loro incidenza si fermava agli opifici. L’intelligenza artificiale, oggi, si alimenta di dati prodotti in ogni ambito della vita degli esseri umani, in un continuo e multidirezionale flusso di informazioni che – elaborati attraverso software – potrebbero potenzialmente consentire, ai datori di lavoro, ad esempio, una conoscenza pervasiva di abitudini, stato di salute, esigenze economiche, legami sociali, idee politiche, ecc. del loro organico – e di coloro che si candidano a diventarlo – consentendo vecchie e nuove discriminazioni.
Le potenziali discriminazioni nascenti da questa abnorme circolazione dei dati non sfuggono ai legislatori nazionali ma soprattutto a quelli europei, che proprio in questi giorni stanno approvando forme di regolamentazione dell’intelligenza artificiale.
Per analizzare l’impatto delle innovazioni tecnologiche e dei big data nei nostri differenti luoghi di lavoro – ma soprattutto per individuare forme di tutela dei lavoratori dagli effetti che possono produrre – apriamo qui un confronto che proseguirà nei prossimi numeri e che si alimenterà anche delle segnalazioni, curiosità, indicazioni che vorrete segnalarci su banchidilavoro@gmail.com
Tonia Maffei

Pubblicato il 12 Luglio 2023