Fondi di previdenza integrativa: il grande flop

Nell’ultimo anno i rendimenti dei fondi di previdenza integrativa sono crollati a causa soprattutto del pesante calo dei mercati azionari.
Per quanto riguarda i fondi pensione negoziali, quelli voluti e gestiti dalle categorie sindacali, il calo in media è stato nel 2022 di -9,8%, con una percentuale di calo maggiore nelle varie linee di investimento con il crescere del peso degli investimenti nel mercato azionario. E’ importante rilevare che nella linea di investimento definita “bilanciato”, dove è collocato il 53,9% degli iscritti ai fondi negoziali (dato del 2021), il calo nel 2022 è stato superiore alla media cioè di -10,5%. Il confronto con il rendimento del TFR è impressionante: il TFR si è rivalutato nel 2022 di +8,3%. La rivalutazione del TFR dipende dall’inflazione, ma è pari o superiore all’inflazione solo se quest’ultima è pari o inferiore al 6%, se l’inflazione è superiore, come nel 2022 quando è stata del 11,6%, il recupero è parziale. Quindi il TFR ha surclassato i fondi pensione nonostante non ci sia stato un recupero integrale dell’inflazione.
Abitualmente i sostenitori dei fondi pensione dicono che i rendimenti vanno visti sul lungo periodo. I dati che la COVIP (la commissione di vigilanza dei fondi pensione) riporta ci dicono che negli ultimi 3 anni (2020-2022) i fondi hanno avuto in media un rendimento negativo di -0,8% contro il TFR a +4,3%. Relativamente ai rendimenti a 5 anni (2018-2022) i fondi hanno avuto un rendimento medio di +0,5% contro il TFR a +3,3%. I rendimenti a dieci anni (2013-2022) dei fondi sono arrivati mediamente a + 2,2% e il TFR è a +2,4%. Non ci sono dati più vecchi ma queste ondate di ribasso ci sono già state più di una volta.
Come si vede, inserire il salario dei lavoratori (tale è il TFR) nel mare magnum della finanza non dà nessuna garanzia: può andare bene o andare male esattamente come qualsiasi forma di investimento finanziario.
Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti iscritti ai fondi negoziali nel 2022 sono state registrate 349.000 posizioni in più rispetto alla fine dell’anno precedente (+10,1%), per un totale di 3.806.000. Gli iscritti ai fondi pensione sono quindi aumentati, ma è un aumento “drogato” dal susseguirsi di accordi sindacali che iscrivono i lavoratori di certe categorie in modo automatico, cioè obbligatorio, senza nessuna richiesta di consenso. Si può sperare che questi lavoratori poi vengano almeno informati, ma è possibile che ci siano anche dei problemi da questo punto di vista perché si tratta in genere di categorie di lavoratori poco stabili. Questo tipo di iscrizione comporta un versamento diverso da quello previsto per i lavoratori che si iscrivono volontariamente. L’adesione “contrattuale” comporta un versamento, “a carico del datore di lavoro” minimo, intorno all’1%, sostanzialmente inutile perché troppo basso per determinare risultati minimamente decenti al momento del pensionamento. Tale forma di adesione invece tenta di raggiungere l’obiettivo di far pensare ad una crescita di consenso ai fondi che è fasulla. La percentuale reale di adesioni ai fondi negoziali continua ad essere inferiore al 30% dei lavoratori dipendenti, una minoranza concentrata nelle categorie più “forti”.
I rendimenti negativi del 2022 hanno prodotto perfino un calo delle risorse accumulate. Nei fondi negoziali, l’attivo è di 61,1 miliardi di euro con un calo pari a -6,5% sull’anno precedente. Questo nonostante che nell’anno appena trascorso i contributi incassati dai fondi negoziali siano aumentati del 4,5%. In sostanza il calo dei rendimenti si è mangiato sia le nuove entrate che una parte del capitale accumulato. Complimenti.
I fondi complementari sono al disastro e se un lavoratore va in pensione adesso si ritrova un rendimento che, a seconda del momento della sua iscrizione ad un fondo, potrebbe essere pesantemente tagliato rispetto al TFR. Non risolve il problema il fatto che siano stati versati anche dei contributi da parte dell’imprenditore, perché tali contributi sono di solito alternativi ad aumenti in busta paga.
I fondi pensione confermano di non essere sistemi pensionistici, per quanto di tipo privatistico, sono in realtà forme di investimento finanziario e come tali sono soggette agli “sbalzi di umore” dei mercati. Quando poi non garantiscono nemmeno un rendimento almeno pari al TFR sono anche investimenti farlocchi e casuali, a volte ci si prende a volte no.
E’ ora di aprire una discussione sui fondi e il loro ruolo a partire dai dati della realtà e non dai propri sogni o dall’aspirazione a diventare manager, o peggio ancora pensando di tornare all’idea che tali fondi possano essere la base per una nuova forma di democrazia economica.
Gianni Paoletti

Pubblicato il 23 Febbraio 2023