Trovare la bussola in un mondo in fiamme
Due giorni di intenso confronto all’hotel Magaggiari di Cinisi intorno alla figura del militante trucidato dalla mafia il 9 maggio 1978
Il tema ispiratore della due giorni di confronto all’hotel Magaggiari di Cinisi, per ricordare la straordinaria figura di Peppino Impastato, lo ha esplicitato immediatamente Saverio Cipriano, il Coordinatore dell’Area ‘Le Radici del Sindacato’ in Sicilia, aprendo i lavori in una sala gremita: “Che fare in questa fase politica drammatica?”.
Per rispondere ad una domanda così impegnativa non bastano certo due giorni di confronto tra sindacalisti, giornalisti ed esponenti del mondo delle associazioni, convenuti nella cittadina siciliana per farsi delle domande e provare ad abbozzarne le risposte.
La Cgil nazionale ha messo sul piatto un ambizioso obiettivo per offrire il suo contributo in merito: raggiungere il quorum per vincere i referendum su alcuni temi fondamentali in materia di lavoro e cittadinanza, sui quali gli italiani sono chiamati ad esprimersi i prossimi 8 e 9 giugno. Così Alfio Mannino, Segretario generale Cgil Sicilia, portando il suo saluto la mattina del 7 maggio, alla prima delle quattro sessioni di lavoro, evidenzia come la campagna referendaria in corso “sia fondamentale per ricostruire l’ipotesi di proposta alternativa all’onda nera del paese e del mondo”.
Quanto sta accadendo a Gaza esemplifica orrendamente lo stato di salute del pianeta visto dalla parte dei più deboli: “Israele ha un chiaro progetto militare di annessione della Striscia – aggiunge Mannino – e dobbiamo partire da lì per essere coerenti anche rispetto alla memoria di Peppino. La lotta per la pace ha caratterizzato Impastato e una parte importante del pensiero politico e culturale della sinistra da ricostruire: va messa in campo una battaglia politica e culturale contro il disinteresse delle istituzioni internazionali e la Cgil ha fatto bene ad assumere a riguardo una dura presa di posizione”.
La strada verso il voto referendum serve anch’essa “a costruire un nuovo clima”, benché “complicata”, fermo restando che “negli ultimi giorni notiamo un clima diverso tra lavoratori e cittadini”. C’è “un’idea di paese” da riaffermare, “rimettendo al centro la dignità del lavoro: occorre quindi ricostruire – afferma ancora il Segretario generale della Cgil siciliana – un movimento a tale scopo, che tenga insieme diritti, pace e lotta alla mafia”. Cosa nostra non è più stragista, ma, paradossalmente, “molto più insidiosa: sta invadendo settori economici e produttivi penetrando nel tessuto economico”. Lo si nota ogni giorno in edilizia, nell’agroalimentare, nella gestione dei rifiuti “ma anche nella filiera energetica”. Per aggredire la mafia, osserva Mannino, “bisogna quindi aggiornarsi, e scegliere di depotenziare le intercettazioni o depenalizzare l’abuso di ufficio, come ha fatto il governo, significa andare nella direzione contraria al rafforzamento della strumentazione per combatterla”.
Insomma, la battaglia di civiltà conosce molte sfaccettature, che partono tutte da una presa di coscienza e consapevolezza sulla quale si sofferma Giovanni Impastato, fratello di Peppino ed instancabile promotore delle iniziative a sua memoria. “Tanti compagni e compagne si stanno impegnando a fondo insieme a noi – dice Giovanni, introducendo il suo saluto a coloro che affollano la sala del ‘Magaggiari’ – per sostenere le battaglie di civiltà e di democrazia. Ci stiamo preparando ai 50 anni dalla morte di Peppino e, grazie al passaggio di testimone che è avvenuto alle nuove generazioni, il nostro ricordo non si perderà nel tempo”. Non è sempre facile perseguire l’obiettivo della memoria, “ma siamo riusciti a farlo grazie all’impegno civile e di lotta a fianco alla trasmissione di un pensiero educativo: ogni giorno – ricorda Giovanni Impastato – centinaia di giovani, provenienti da tutta Italia con le loro scuole, si ritrovano davanti a ‘Casa Memoria’: quando i ragazzi arrivano a Cinisi assaggiano la sconfitta della mafia, vivono sulla loro pelle l’impegno delle associazioni che ricordano il patrimonio e il tesoro dell’esperienza di Peppino. E anche il sostegno della Cgil – conclude Impastato – con la spinta di ‘Democrazia e Lavoro’ prima e de ‘Le Radici del Sindacato’ poi, ha aiutato tanto a sensibilizzare sulla storia di Peppino”.
L’intreccio tra mafia, droga ed eversione nera è uno degli aspetti sottaciuto per decenni e poi finalmente venuto alla luce grazie alla denuncia di chi non ha mai accettato le verità di comodo: su questo tema si sofferma inizialmente, nel corso del suo intervento, Peppe Scifo, del Dipartimento Immigrazione della Cgil nazionale, per poi connetterlo alle cattive politiche di oggi, ad esempio a proposito dei migranti: “Giorgia Meloni dice che il modello italiano sui CPR e sulla detenzione amministrativa rappresenta un esempio per l’Europa, e purtroppo si tratta di una triste e drammatica verità”. L’egemonia delle destre su questo tema “rappresenta una sfida gigantesca e fondamentale – annota Scifo – perché investe a pieno il tema della negazione dei diritti, a cominciare da quello di cittadinanza”. Lo scorso marzo l’UE ha varato il ‘regolamento rimpatri’, che tende ad uniformare le pratiche in tutti gli Stati membri, prevedendo la costruzione di hub anche nei cosiddetti Paesi terzi (come ad esempio l’Albania). E “l’Europa – ricorda Scifo – ha sposato quel modello, determinando l’azzeramento del diritto d’asilo”. Perché è diventato impossibile riconoscere quel diritto ad un immigrato che arriva in Francia o in Italia e poi viene trasferito in maniera coatta in Tunisia o in Albania. Il sindacato dovrebbe giocare fino in fondo la sua parte in questa battaglia, la quale andrebbe combattuta “dentro la sua Confederazione Europea, la CES, non potendo evidentemente restare confinata alle Organizzazioni di un singolo paese”.
Non ci si può, insomma, sottrarre “alla dimensione globale: l’unità internazionale del mondo del lavoro è faticosa ma assolutamente necessaria”, per proporre, chiosa Scifo, “uno scenario culturale diverso, al quale possono contribuire sensibilmente le nuove generazioni di stranieri italiani”.
Il tema dei diritti violati è da sempre nel cuore di Luisa Morgantini, storica esponente del mondo pacifista italiano e oggi Presidente di AssoPalestina: “Siamo ormai arrivati all’annientamento del popolo palestinese – afferma Morgantini, portando il suo saluto alla sala, collegata in webinar – per effetto del piano fondamentalista messianico ordito da Netanyahu con la totale complicità dell’UE e degli Stati Uniti. Il Parlamento europeo – prosegue Morgantini – non ha nemmeno messo all’ordine del giorno la discussione su Gaza”. A maggior ragione è necessario il protagonismo ‘dal basso’: “Dobbiamo resistere con tutte le nostre forze, perché l’umanità muore calpestata sotto le macerie di Gaza. Nel secolo scorso avevamo detto ‘mai più’: invece assistiamo ad un nuovo genocidio in atto, ad una pulizia etnica che non risparmia i campi profughi e i bambini. Il nostro dolore è profondissimo: le opposizioni – conclude la Presidente di AssoPalestina – alzino la voce per chiedere sanzioni, per il riconoscimento dello Stato palestinese e sappiano unire la società civile per dire ‘basta’ e invocare l’autodeterminazione del popolo palestinese”.
Nour Khalil,ricercatore e giornalista investigativo egiziano, direttore esecutivo di ‘Refugee Platform’, ha partecipato ad entrambe le giornate a Cinisi ed è subito intervenuto nel solco delle parole di Luisa Morgantini: “Viviamo tempi drammatici – osserva – e dobbiamo tutti aprire gli occhi sulla condizione dei popoli del Medioriente e non soltanto. Pensiamo ad esempio alla drammatica crisi del Sudan, che conduce tantissimi migranti verso l’Egitto, ai numerosissimi rifugiati dalla Palestina, senza diritti e senza protezione”. Non possiamo non vedere “quanto l’UE stia mostrando il suo lato razzista – denuncia Khalil – scegliendo di non rispettare i valori che sostiene di voler difendere; al contrario, assume pratiche colonialiste utilizzando le milizie libiche allo scopo e contribuendo alla devastazione dei territori. Perciò dobbiamo continuare a supportare le nostre comunità, coinvolgendo in una prospettiva di classe i lavoratori, i migranti, gli lgbtq e tutti coloro che si battono per i diritti”. Un appello non retorico, quello del giornalista egiziano, “perché – ricorda – anche nell’UE il clima di protesta viene sempre più represso: incontrarci e relazionarci è fondamentale per creare una risposta comune, se pensiamo che il movimento rivoluzionario egiziano è partito proprio dalle organizzazioni dei lavoratori: ecco perché – conclude – mi sento particolarmente contento di ricordare Peppino Impastato e la sua lezione, insieme alla Cgil”.
Molto atteso e apprezzato dalla platea il successivo intervento, da remoto, ad opera di Patrick Zaki, “orgoglioso di essere qui nei giorni della commemorazione di un grande attivista come Peppino Impastato: il suo sforzo era profuso contro qualunque forma di oppressione, non soltanto contro la mafia, perciò abbiamo la possibilità di riflettere a pieno titolo, anche qui, sul genocidio in atto a Gaza”. Non è certo un atto di legittima difesa quello di Israele, spiega Zaki, “bensì una pulizia etnica, con la chiara volontà di distruggere la causa palestinese: le azioni del governo israeliano non si rivolgono soltanto alla Palestina ma anche al Libano, alla Siria e ad alcune zone dell’Iraq”. Volgendo lo sguardo all’Egitto, “vorrei ricordare le migliaia di prigionieri detenuti nelle carceri del Paese, mentre in Tunisia ci sono migliaia di ricercatori e attivisti in grandissima difficoltà, con la complicità di molti governi, come l’Italia, che finanzia quello Stato”. Rifiutare il silenzio “è la grande lezione di Peppino”, osserva Patrick Zaki, “che rappresenta un esempio per noi contro tutti i modelli di oppressione: la sua è la chiave giusta per reagire a situazioni inaccettabili”. La mafia ha ucciso chi si opponeva al suo sistema sfruttando spesso un complice silenzio. Oggi, conclude Zaki, “il silenzio uccide decine di migliaia di persone in Palestina, perciò è di fondamentale importanza organizzarci, scendendo in piazza con tutti coloro che sono solidali con la causa di quel popolo oppresso, insieme al movimento femminista, per il quale nutro particolare stima: ‘facciamo rumore’, anche contro il patriarcato”.
L’invito di Patrick Zaki a connettere lo sdegno per la situazione palestinese e la valorizzazione dell’impegno delle donne viene immediatamente raccolto da Najla Hassen, mediatrice culturale, che evidenzia come le soggettività oppresse “abbiano bisogno della nostra ribellione”. Tra queste ultime ci sono i migranti, insieme a tutti coloro che sono oggetto di repressione per legge. Da qui parte Luigi Giove, Segretario nazionale Cgil, nel suo intervento che chiude la prima sessione dei lavori. Il tema-sicurezza viene evocato nei decreti, ma – chissà perché – non si occupa di chi in primo luogo la mina, ossia la criminalità organizzata.
Giove proviene, sindacalmente, dall’Emilia Romagna e racconta come in quella realtà si sia consumato il più grande processo alla criminalità organizzata al di fuori delle tradizionali Regioni del Mezzogiorno interessate storicamente da quel fenomeno. “In Emilia Romagna – spiega Giove – non compare soltanto l’infiltrazione criminale, ma registriamo anche la domanda di economia illegale, finalizzata ad utilizzare i servizi della criminalità organizzata per la gestione di settori di economia in vari settori produttivi”. Quel salto di qualità la dice lunga sulla situazione attuale. “Che cosa dà sicurezza, dunque ai cittadini? La polizia nelle strade?” O forse l’auspicio di prendere di petto i problemi veri che assillano la collettività? Qui si apre un grande capitolo, che Giove riassume invocando “il diritto a realizzarsi, a potersi emancipare, a poter crescere come persone; in una parola, il diritto di essere inclusi”. Non è un caso che al cosiddetto ‘processo Emilia’ la Cgil si sia costituita parte civile, proprio perché “si tratta di riportare al centro dell’attenzione temi fondamentali, raccogliendo una sfida: basta retrocedere, basta parare i colpi. Qui c’è da riconquistare diritti, tutele e la dignità della classe lavoratrice, che ha perso l’idea di essere una classe”. Puoi anche non percepirti come tale, ma lo sei: “E il fatto che il governo abbia invitato a non andare a votare al referendum, è un buon segno”, perché, conclude il Segretario nazionale Cgil, “può aiutarci a convincere i cittadini che il Paese lo si può cambiare, in quanto un diritto in più non ha mai fatto male a nessuno, mentre la sua perdita produce danni enormi”.
Paolo Repetto
Pubblicato il 16 Maggio 2025