“Sviluppare una resistenza attraverso il conflitto sociale”

Le politiche che il ministro Valditara sta conducendo nella scuola sono tentativi di ricostruire su base autoritaria e classista l’apparato educativo dello Stato

La recente notizia sulla decisione di Israele di occupare la Striscia di Gaza, o larga parte di essa, non ci sta dicendo qualcosa soltanto sulla tragicità del massacro in corso, sui ripetuti crimini di guerra o le volontà di pulizia etnica, la spietata durezza di un’azione militare che da più di un anno sta travolgendo due milioni di persone, con decine di migliaia di civili e bambini morti. Non parla solo, cioè, della durezza dei tempi di guerra di questo periodo. Questa notizia ci dice qualcosa sulla radicalità dei tempi e dei processi che stiamo affrontando.

La grande crisi che si è scatenata nell’ultimo ventennio, la dinamica di competizione internazionale che segna oggi il modo di produzione capitalistica, la precipitazione di tutto questi negli ultimi anni di una nuova stagione di contrapposizione e scontro tra grandi potenze, rende complicato moderare, contenere o trovare punti di soluzione ai conflitti in corso. Una dinamica sempre più preoccupante, tenendo conto che due potenze nucleari confinanti, India e Pakistan, hanno aperto scontri militari diretti, nelle scorse settimane, che potrebbero avere ulteriori, gravi conseguenze.

Da questo punto di vista, il risultato delle RSU è prima di tutto un argine, un segno di resistenza che ha valenza politica complessiva, ben oltre la semplice elezione di rappresentanti sindacali nei diversi istituti, atenei, enti, scuole e accademie del paese. In una stagione come questa, questo voto ha una dimensione politica e generale, che parla anche dei modelli sindacali generali, della funzione sociale dei servizi pubblici nei quali operiamo, dell’idea di società che abbiamo e che si vuole costruire. Per questo, la tenuta e l’avanzamento della FLC non era scontata ed è stata particolarmente importante.

Questo risultato ha una valenza politica complessiva anche nella sua non linearità. Il lavoro oggi è frantumato, tra i comparti e nei nostri comparti. Occorre avanzare una riflessione, perché ci sono elementi complessi e contraddittori che emergono dall’osservazione dei dati, nei diversi settori e territori. La nostra vittoria emerge in primo luogo dall’arretramento significativo di Cisl e Snals, cioè di quelle organizzazioni sindacali che negli ultimi mesi si sono mosse coordinate e di concerto, con un’idea sussidiaria del proprio ruolo nei confronti del governo e delle sue politiche reazionarie. Questo loro arretramento, però, è bilanciato in qualche modo dal significativo avanzamento dell’ANIEF, che in qualche modo recupera quei voti nelle pratiche e nelle prospettive di un sindacalismo d’affari, più ancora che di una dimensione corporativa.

Anche il nostro risultato, positivo con un avanzamento di voti assoluti e percentuali (più evidente e significativo in ricerca, università a Afam), non è lineare. In alcuni settori e territori si registrano avanzamenti di diversi se non molti punti percentuali, sia in contesti con alto consenso (ben oltre il 50%), sia in contesti dove abbiamo presenze più contenute (partendo anche da percentuali intorno al 10%). Però è fatto anche di arretramenti, anche pesanti, in altre realtà. Ha ragione a questo proposito la Segretaria generale FLC Gianna Fracassi, quando ha sottolineato l’importanza di non attribuire colpe: il problema non è quello. Un filosofo olandese di origine ebraica diceva: né ridere, né piangere, ma capire. Io credo che noi dovremmo ‘capire’ per essere collettivamente più consapevoli su come proseguire la nostra iniziativa.

Il problema davanti alla radicalità di questi tempi, infatti, è che gli argini sono rapidamente travolti. Allo stesso tempo, però, davanti ai rivolgimenti storici in corso non possiamo pensare di attestarci su quegli argini e attendere gli eventi. La stessa Fracassi sottolineava il grande impegno che ci aspetta nei prossimi mesi, per il contratto, la difesa del salario, ma anche la difesa di un impianto pubblico e democratico di scuola, università e ricerca: dovremmo essere capaci di continuare i processi di resistenza e di svilupparli, partendo da questi argini per sviluppare un movimento sociale, un’opposizione sociale e politica contro le politiche e le iniziative del governo.

Da questo punto di vista, la questione del rinnovo del contratto nazionale è fondamentale: sul salario, la tenuta o la perdita di oltre il 10% del potere di acquisto di lavoratori e lavoratrici dei nostri settori, giochiamo una partita storica sul ruolo del sindacato in Italia e sulle nostre stesse ragioni di esistenza. Del resto, la stessa campagna elettorale RSU l’abbiamo giocata rivendicando la nostra coerenza e denunciando la capitolazione di altre organizzazioni e altri modelli sindacali su questa questione.

Dobbiamo quindi rimettere in discussione l’attuale modello contrattuale, nelle tempistiche e nei meccanismi che ingabbiano una contrattazione strutturalmente in ritardo e all’inseguimento dell’inflazione. Penso anche qualcosa in più: oggi, questa rimessa in discussione del modello contrattuale può e deve essere l’occasione per rompere quel meccanismo in cui oggi siamo intrappolati. Con il rinnovo già firmato delle funzioni centrali, l’aumento generale dei dipendenti pubblici è già stato in qualche modo fissato, in una dinamica già segnata dagli scorsi rinnovi di forte differenziazione tra comporti e settori contrattuali.

Per tenere l’unità del lavoro, per ricostruire un processo generale di avanzamento, dobbiamo scardinare oggi questa dinamica. E segnalo l’importanza di ‘tenere’ sulla questione della nostra rivendicazione salariale (il recupero di tutta l’inflazione dello scorso triennio, oltre il 17%, e non di un terzo). Siccome, poi, questa situazione non la stiamo affrontando solo come categoria, abbiamo la necessità di sviluppare un’azione e un conflitto coordinato con la Funzione pubblica, ma anche con le altre categorie che oggi sulla questione salariale stanno agendo uno scontro con le proprie controparti: penso, in particolare, a Metalmeccanici e Multiservizi. Serve che non solo evochiamo la rivolta sociale, serve tornare ad esser capaci di agire un conflitto sociale persistente, in grado di riconquistare diversi rapporti di forza.

Anche il risultato referendario, qualunque esso sarà, potrà esser un passo in avanti se sarà in grado di riattivare un movimento generale dei lavoratori e delle lavoratici; è necessario nutrire la capacità – anche nella campagna referendaria, soprattutto nella campagna referendaria – di sviluppare una resistenza attraverso il conflitto sociale. In queste settimane due partite importanti hanno visto in campo la FLC: la prima è quella del DdL Sicurezza: il 31 maggio ci sarà una forte mobilitazione contro la sua trasformazione in decreto, la FLC è protagonista sin dalla sua nascita alla Sapienza della rete ‘A pieno regime’ e sarebbe importante condurre l’insieme della CGIL dentro quella giornata di mobilitazione, in una dinamica il più unitaria e più generale possibile. Lì, tra l’altro, sono protagoniste giovani generazioni che rappresentano una parte importante di quel blocco sociale che vogliamo attivare, anche per il voto dell’8 e 9 giugno. L’altro campo è quello dello sciopero precario nelle università.

Noi abbiamo scelto di fare un passo indietro, di esser parte di parte, per contribuire a sviluppare una mobilitazione unitaria di un settore particolare, frammentato e disperso, come quello dei precari della ricerca e dell’università. Quarantamila ricercatori a tempo determinato, borsisti e assegnisti (praticamente quasi un terzo di chi oggi lavora negli atenei e negli enti di ricerca), che rischia di esser travolto dalla fine del PNRR, dai tagli a risorse già gravemente insufficienti, dalle volontà di rilancio della precarizzazione della Bernini e di questo governo. Abbiamo allora deciso di sostenere percorsi autorganizzati e di lavorare con le diverse soggettività che si sono espresse negli atenei: le assemblee precarie, i coordinamenti di atenei, le associazioni della docenza e del precariato, le altre organizzazioni sindacali (onestamente, in questi mesi ne abbiamo viste poche).

Lo sciopero del 12 maggio ha rappresentato un’importante giornata di mobilitazione nazionale, che ha dato rilievo e protagonismo ad un soggetto sino ad oggi cancellato nelle università, in primo luogo dal riconoscimento come lavoro, dalla rappresentanza, dallo stesso diritto di esprimersi sindacalmente. Per questo è stato importante che l’insieme della FLC sia stata in campo il 12 maggio, in tutti gli atenei. Non solo per non lasciare soli i precari, ma per rivendicare e agire un percorso di ricomposizione del lavoro nelle comunità universitarie, che veda protagonisti anche tecnici, amministrativi, bibliotecari e docenti strutturati.

Questo è il ruolo di un sindacato generale della conoscenza. Il ruolo che abbiamo giocato in questi mesi, non solo nelle mobilitazioni degli atenei, ma anche nella capacità di sviluppare una proposta di stabilizzazione generale (che prevede per la prima volta di portare le logiche della Madia nell’università), e anche di ostacolare effettivamente le ipotesi di ulteriore precarizzazione del governo (il Ddl 1240). Nelle scorse settimane è giunta la notizia che la nostra accusa di ‘reversal’ alla commissione europea, parallela e coordinata con ADI, ha avuto la capacità anche di insabbiare e bloccare il tentativo di recuperare aspetti di quella proposta come emendamento al decreto Valditara. Ecco allora che il 12 maggio abbiamo contribuito alla riuscita di quella giornata di mobilitazione e di sciopero, organizzando assemblee di tutto il personale (anche invitando a sospensioni della didattica), partecipando a presidi e iniziative di lotta. Costruendo iniziative e momenti di mobilitazione anche negli atenei dove sinora si è mosso poco. Anche questo, poi, è stato un terreno concreto di campagna referendaria.

Dovremmo infine anche comprendere come fare in modo che questa mobilitazione sia capace di svilupparsi oltre l’università, convergendo con quella che in questi mesi si è sviluppata negli enti di ricerca. E’ stato un nostro limite pesante il fatto che questi percorsi siano sinora marciati separati, nelle mobilitazioni e temo anche nelle rivendicazioni: è oggi allora un nostro obbiettivo naturale anche quello di ricostruire un’iniziativa generale capace di unire questi settori, coinvolti dagli stessi processi e dalle stesse iniziative normative.

Luca Scacchi

Pubblicato il 31 Maggio 2025