Russia-Ucraina, si corre verso l’apocalisse
L’orologio dell’apocalisse segna 90 secondi alla fine del mondo: si moltiplicano in modo forsennato le spese militari e si parla sempre più di una possibile guerra atomica, ma ciò non sembra preoccupare i giornalisti “embedded”, asserviti alla guerra mediatica contro la verità. Ed è stupefacente l’indifferenza e la passività dell’opinione pubblica di fronte ad un tale pericolo. Visto che in parte ha salutato con entusiasmo l’ingresso delle truppe ucraine in territorio russo, a Kursk, in una zona sguarnita e quasi disabitata, di foreste, a costo di gravi perdite e con il supporto elettronico dallo spazio della NATO (benché le truppe russe la stiano già riconquistando, con una rotta delle forze di Kiev, mentre stanno anche effettuando uno sfondamento in Donbass, verso la città strategica di Pokrovsk, che è il centro fondamentale per la logistica militare ucraina).
Quella di Kursk è stata una mossa suicida, che non altera le sorti della guerra che i russi stanno vincendo. Ma in realtà si tratta d’una guerra per procura, contro la Russia da parte della NATO che non può accettare la sconfitta e blocca ancora una volta ogni ipotesi di trattativa perché vuole sconfiggere la Russia, a tutti i costi. Mentre prepara una nuova escalation militare, finanziando l’Ucraina per 100 miliardi: perché, secondo Stoltenberg, “l’Ucraina deve rimanere combattiva”.
Nel 2023 la spesa militare russa è stata di 109 miliardi di dollari e quella dei paesi NATO 1.286 (12 volte di più), il 53% della spesa militare globale. Angus Lapsey, il vice di Stoltenberg, sostiene che “i paesi della Nato dovranno aumentare la loro spesa militare al 3% del Pil ed oltre”, ma stanno già boccheggiando per raggiungere il 2% del Pil, imposto dal vassallaggio agli USA, e avranno serie difficoltà a soddisfare la richiesta, perché gli aiuti crescenti all’Ucraina stanno sempre più dissanguando vari paesi europei. I quali dovranno, a causa dei rigidi vincoli europei sui deficit per il ritorno all’austerità, tagliare sempre più le spese per pensioni, sanità, istruzione, servizi sociali, salari, ecc. rallentando anche lo sviluppo. Il costo della guerra lo pagano i più poveri ed i piani di riconversione ambientale sono già stati messi da parte.
La “bussola strategica” dell’UE delinea una corsa agli armamenti, per cui, mentre la Russia spende 86,4 miliardi di dollari, i paesi europei, nonostante la stagnazione economica, spendono oggi 380 miliardi di dollari contro i 230 del 2014, per l’acquisto di armi prevalentemente degli USA, avvantaggiando il loro complesso militare-industriale.
La Germania sollecita la Francia a condividere l’ombrello nucleare, creando uno scudo missilistico europeo, con 17 paesi, comprendendo anche Turchia, Svizzera ed Austria, ma la Francia è critica, perché rifiuta il previsto uso dei missili americani Patriot e israeliani Arrow. La Polonia, diventata una potenza militare, già spende per il riarmo il 4% del Pil, il suo presidente Tusk parla di una fase “pre-bellica” ed ha stipulato un accordo per intervenire con la propria aviazione per stabilire una “no flight zone” in Ucraina. Ciò è particolarmente grave, perché è il primo intervento esplicito d’un paese NATO, una formalizzazione dell’entrata in guerra, e se i russi risponderanno, questo comporterà l’entrata in guerra dell’intera NATO, con l’invio di truppe in Ucraina, secondo quanto sostiene Macron. La Gran Bretagna parla di “transizione ad un mondo pre-guerra”. Con la militarizzazione della Scandinavia, la Norvegia ospiterà 12 basi militari NATO, imitata da Finlandia e dalla Svezia, che invita i cittadini a “prepararsi mentalmente per la guerra”; il mar Baltico e l’Artico è diventato un mare della NATO, precluso ai russi. Mentre l’Italia ha assunto il comando dell’operazione Aspides nel mar Rosso.
La NATO aveva fissato delle linee rosse da non oltrepassare, ma le ha costantemente violate, con l’invio di carri armati Leopard (usati per invadere il territorio russo a Kursk), di aerei F-16 che possono portare armi nucleari, e dei missili più potenti, confidando nella mancanza di reazione della Russia. Ma, dopo l’avvertimento di Putin che risponderebbe ad un attacco diretto della NATO, stanno scherzando col fuoco. Stoltenberg ha sollecitato l’invio di missili a lunga gittata (Storm shadow inglesi, e ATACAMS statunitensi) chiaramente non difensivi e che esigono l’uso dei sistemi di puntamento GPS della NATO, per colpire il territorio russo, trovando poche opposizioni, fra cui quella dell’Italia.
Tutto ciò è di fatto già avvenuto in modo informale. Numerosi militari della NATO sono già presenti, sotto le mentite spoglie di istruttori, dal golpe di Maidan del 2014, effettuato dalla Nuland del Dipartimento di stato, col sostegno dell’allora vicepresidente Biden, un super-falco nei confronti della Russia, imponendo il nuovo governo golpista, con la presenza di capi delle milizie naziste, costruendo 30 centrali, unicamente americane, per la guerra batteriologica, vietata dalle leggi internazionali, ai confini delle Russia e mettendo il proprio figlio Hunter a capo della Burisma Holdings, il maggior operatore di petrolio e gas dell’Ucraina e dell’Europa orientale. Hunter è tossicodipendente ed è stato condannato a 25 anni di carcere in America, ma era indagato per illeciti anche in Ucraina e il padre s’è vantato di aver fatto licenziare il procuratore che stava indagando.
Gli ucraini hanno da tempo inaugurato le azioni di “deep strike”, ovvero di attacchi in profondità a centinaia di chilometri oltre il confine per distruggere basi e infrastrutture di grande rilevanza, usando missili a lungo raggio forniti dall’Occidente: è successo verso la Crimea, contro la stazione di Armavir, a 1425 chilometri da Mosca, e contro il deposito missilistico russo a Toropets, 380 chilometri a nord di Mosca, col rischio di superare le “linee rosse” che giustificano l’escalation atomica.
A chiarire la situazione è stato l’attacco missilistico russo a Poltava che, accusato falsamente di aver colpito un asilo d’infanzia, aveva invece distrutto il 179° interforze delle forze armate ucraine, per la guerra elettronica, i servizi segreti e gli operatori radar e di droni, facendo, secondo l’ex deputato Ihor Mosiychuk, 600 morti, fra ucraini e specialisti militari della NATO provenienti da Polonia, Svezia, Francia e Germania. Per occultare tale presenza i cadaveri sono stati spediti via aerea nei paesi di provenienza, dove sono stati dichiarati morti in loco.
Durante i tre tentativi di negoziato, a Minsk e a Istambul, boicottati dagli americani, i russi hanno chiarito che ponevano la condizione della neutralità dell’Ucraina, perché, dopo aver ingoiato l’ingresso nella NATO dei Paesi della Nuova Europa dell’ex Patto di Varsavia – nonostante le promesse fatte a Gorbaciov secondo le quali la NATO non sarebbe andata oltre la Germania “neppure di un millimetro” – vedevano una minaccia esistenziale nella presenza dei missili NATO alle proprie frontiere, mentre non si opponevano ad un eventuale ingresso nell’UE. La risposta americana che l’Ucraina era libera di aderire è del tutto incoerente con la loro ‘Dottrina Monroe’, che vieta la presenza straniera nell’intero continente americano da nord a sud, considerato il “giardino di casa” statunitense, che ha motivato la minaccia di Kennedy d’una guerra atomica e che ha indotto Krusciov a ritirarli: in quel caso Cuba non era stata certo libera di decidere.
Gli sconfitti in questa guerra sono gli europei e particolarmente la Germania, che sta andando incontro ad una pesante recessione economica, trascinando con sé il resto dell’Europa, perché le sanzioni che l’UE ha emanato contro la Russia, dietro forti pressioni di Washington, non hanno colpito la Russia, che è oggi il terzo paese con la maggiore crescita economica dopo Cina e India. Hanno colpito piuttosto la Germania, “motore d’Europa”, perché il basso prezzo del gas russo era il fattore essenziale del modello di sviluppo tedesco, e di conseguenza anche per il resto d’Europa. Sintomo della gravità di tale situazione è il fatto che la Volkswagen licenzia 30.000 dipendenti e intende chiudere, per la prima volta in 90 anni, uno stabilimento automobilistico, causando un vero e proprio uragano nel paese.
Dopo il varo delle sanzioni occidentali alla Russia la Germania aveva realizzato il “Nord Stream II” e iniziato una promettente relazione industriale e commerciale con la Cina; ma la Polonia nel 2006 l’ha definito un nuovo Patto Molotov-Ribbentrop, su suggerimento di Washington, e gli Stati Uniti hanno commissionato alla Polonia il sabotaggio dei due Nord Stream, per punire la Germania, rea di intrattenere rapporti con paesi rivali e di non obbedire ai comandi di Washington, con un vero e proprio atto di guerra. Eppure la Germania ha fatto finta di niente, mentre la Polonia è diventata il paese della UE preferito da Washington, soppiantando Francia e Germania.
Ma le conseguenze del conflitto sono anche politiche, perché il peggioramento delle condizioni di vita, derivante dalla priorità assegnata alla spesa militare rispetto a quella sociale, comporta una reazione di sfiducia popolare che, in assenza d’una adeguata risposta della sinistra e dei verdi tedeschi, conniventi con la svolta militarista, si rivolge all’estrema destra, intesa come un rifiuto del sistema, determinandone una forte avanzata elettorale, che investe anche le politiche europee, con la svolta a destra della Von der Leyen. Ciò ha determinato la sconfitta di Macron, per il suo atteggiamento bellicista, e di Scholz, accusato di debolezza per il suo silenzio rispetto al sabotaggio del Nord Stream. Di ciò si sono giovate le “aree del dissenso”, come le forze di estrema destra del ‘Rassemblement National’ francese e l’‘Allianz für Deutschland’, neonazista tedesca, ma ha avvantaggiato anche le forze di sinistra più radicali, come ‘La France Insoumise’ di Melenchon, primo partito alle elezioni francesi, e la ‘BSW’ (‘Bündnis Sahra Wagenknecht’) tedesca, premiata per la sua opposizione alla guerra della NATO contro la Russia. Il Parlamento Europeo, in piena deriva bellicista e sempre più distante dalle esigenze popolari, come testimoniato anche dalla scarsa affluenza alle urne, ha votato la mozione per autorizzare l’Ucraina a colpire in profondità il territorio russo, passata anche col voto favorevole del Partico Democratico.
La guerra esige anche una svolta autoritaria delle istituzioni, ben visibile in tutt’Europa con restrizioni delle libertà, del diritto al dissenso, del conflitto sociale, e l’espulsione degli immigrati, nonostante siano indispensabili in una situazione di crollo demografico. La normalizzazione della guerra esige l’eliminazione del conflitto, e lo slogan è TINA (‘There is no alternative’, non c’è alternativa) per cui il capitalismo sarebbe il solo sistema possibile, da non disturbare con il conflitto.
Ma il conflitto è il fondamento della democrazia, l’elemento dinamico della trasformazione sociale, perché dà voce agli oppressi, alle “vite di scarto” (Bauman), ai “dannati della terra” (Fanon), riconosce l’esistenza d’una differenza di interessi fra oppressi ed oppressori ed offre la possibilità di lottare per i propri diritti e dignità, per l’emancipazione e per un futuro migliore. Senza conflitto non c’è democrazia.
La normalizzazione della guerra esige invece l’eliminazione del conflitto, promuovendo passività e indifferenza. Dopo aver portato avanti il “piano di Rinascita democratica” di Gelli, massone e agente della CIA e dei servizi inglesi, con l’attacco alla magistratura, il controllo dell’informazione, la svolta presidenzialista, la limitazione dello sciopero, il fermo di polizia, viene compiuto un ulteriore passo in avanti verso lo stato di polizia, con la “legge-manganello” liberticida che reprime il dissenso e criminalizza le lotte sociali con nuove incriminazioni e inasprimenti sanzionatori, la flagranza differita. Interviene sulla questione migratoria per rendere più difficile il soccorso, aumentando il numero di morti nel “cimitero” del Mediterraneo. È un passo verso la fascistizzazione dello stato, che aumenta l’insicurezza generale.
Molto del futuro del conflitto fra Nato e Russia in Ucraina dipenderà dalle elezioni americane, che vedono i due contendenti abbastanza convergenti nel rapporto privilegiato con Israele, ma divergenti sui diritti e la politica sociale, ed opposti proprio sul conflitto in Ucraina. Perché Trump ha accusato l’espansione della NATO di essere stata la promotrice del conflitto e si propone di prenderne le distanze, giungendo ad un compromesso per la fine della guerra, mentre Kamala Harris ha affermato di proseguire nel sostegno all’Ucraina, sul solco tradizionale dei neocon americani che pensano ad una guerra di lunga durata, per il logoramento della Russia e dell’Europa per giungere ad un confronto con la Cina, in difesa del monopolarismo statunitense. Stanno realizzando la NATO mondiale, con l’ingresso di Giappone, Corea, Australia, Nuova Zelanda ed altri paesi, in funzione anticinese. Quanto all’altro teatro di conflitto, la Palestina, gli Stati Uniti rifiutano di parlare di genocidio anche dopo oltre 42.000 morti diretti e oltre 200.000 indiretti (per fame e mancanza di cure mediche), al 70% donne e bambini, e pur dicendo di voler moderare il comportamento di Israele e di voler favorire il negoziato per la creazione di due stati, continuano i rifornimenti di armi e hanno minacciato l’Iran di un intervento dalle proprie portaerei nel Mediterraneo nel caso d’una sua risposta agli attacchi israeliani. Perché Israele è sempre la punta di lancia degli Stati Uniti in Medio Oriente. In realtà i negoziati sono solo una foglia di fico per gli americani, perché la lotta degli israeliani non è contro Hamas ma per l’espulsione, da Gaza e dalla Cisgiordania, che è ora anch’essa oggetto di una violenta repressione, di tutti i palestinesi; in quanto la Palestina sarebbe stata la “Terra promessa” da Dio agli ebrei ed i palestinesi sarebbero solo degli intrusi, come affermava il fondatore del sionismo, Herzl, condannato da Einstein, Freud, Arendt e tanti altri, che riteneva impossibile la presenza di due popoli in Palestina, espellendone i palestinesi. Intanto Netanyahu, che conosceva da un anno i piani di attacco di Hamas ma li ha lasciati fare per usarli come “casus belli” per i propri fini, continua a finanziare l’insediamento dei coloni, sempre più estremisti e violenti, nei territori occupati, dove hanno superato il milione e son ben decisi a non essere trasferiti altrove, per cui il progetto dei due stati è privo di una base materiale. Quando si profila per Netanyahu il pericolo di un accordo, provvede ad impedirlo in ogni modo, col bombardamento di tutti i paesi vicini, con gli assassinii mirati dei capi avversari, con il sabotaggio dei cercapersone e del walkie talkie farciti di esplosivi, che hanno colpito indiscriminatamente migliaia di persone libanesi, seminando il panico.
Tutti questi sono i disegni guerrafondai che avvicinano l’Armageddon, trovando finora risposte solo sporadiche, come quelle degli studenti universitari americani. In assenza d’una consapevolezza e mobilitazione generale, che deve invece essere costruita nonostante le leggi liberticide. Per il futuro dell’umanità.
Giancarlo Saccoman
Pubblicato il 25 Settembre 2024