Ricordando Ali Rashid

Dal 1987 è stato per molti anni il Primo Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia

È morto Ali Rashid, un grande uomo ed amico. È morto mentre ancora svolgeva una assidua attività di difesa e conoscenza della causa palestinese. La sua vita è stata dolorosamente segnata dalla Nakba, la  catastrofe del popolo palestinese, quando venne fatto oggetto d’un genocidio che dura tuttora, che portò nel 1948,  al massacro dell’intera popolazione, donne e bambini compresi, di numerosi villaggi palestinesi, di cui il più famoso è Deir Yassin, e all’espulsione, secondo i dati d’un documento segreto israeliano, di oltre un milione di palestinesi dalla loro terra di Palestina, oltre il 90% degli abitanti, per diventare profughi, non riconosciuti da Israele, che li considera occupanti abusivi della “terra promessa da Dio”, e per questo motivo non ha mai accettato le innumerevoli risoluzioni di condanna dell’ONU, per delitti contro l’umanità, massacri e colonizzazione illegittima di territori occupati.

Einstein e la Arendt, ebrei, avevano scritto, assieme a decine di altri intellettuali ebrei, una lettera di denuncia al ‘New York Times’, dicendo che la vicenda di Deir Yassin esemplifica “il carattere e le azioni del Partito Herut” (di Begin, erede di Vladimir Žabotinskij, poi divenuto il Likud di Netanyahu, nda): il 9 aprile, “bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare, uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme … i terroristi, invece di vergognarsi del loro atto, si vantarono del massacro, lo pubblicizzarono e invitarono tutti i corrispondenti stranieri presenti nel paese a vedere i mucchi di cadaveri e la totale devastazione di Deir Yassin”. Ora è ciò che fa, su scala molto maggiore, Netanyahu.

Tutto ciò deriva dal fatto che da oltre cent’anni Israele continua a perseguire la pulizia etnica dell’intera Palestina, con un genocidio quotidiano, il primo non solo non nascosto, come facevano i nazisti, ma addirittura pubblicizzato in diretta tivù in tutto il mondo, nell’indifferenza generale, mentre gli Stati Uniti e l’Europa, Italia compresa, continuano a rifornire di armi l’esercito israeliano occupante, che prosegue ogni giorno il massacro. L’unica pretesa giustificazione di tale massacro è la leggenda d’una assurda promessa di Dio d’un ritorno del suo “popolo eletto”, nella “terra promessa” di Palestina, ma si tratta d’un mito che vuol giustificare la realtà d’un colonialismo europeo di “sostituzione” e di sterminio (come quello americano degli amerindi), finalizzato non allo sfruttamento ma alla eliminazione della popolazione nativa.

L’assurdità è che gli storici e genetisti israeliani ammettono che i palestinesi sono i veri discendenti degli antichi ebrei, mentre gli ebrei aschenaziti che vogliono “tornare alla terra dei padri” sono in realtà discendenti di convertiti indoeuropei e caucasici del khanato dei Cazari, che nulla hanno a che vedere con l’antica Palestina ebraica. Gli artefici principali della pulizia etnica ne sono stati Žabotinskij, amico di Mussolini e naturalizzato italiano, che Ben Gurion chiamava Vladimir Hitler a causa delle sue simpatie politiche, che propugnava il “muro d’acciaio” contro i palestinesi, ovvero la costituzione di bande terroristiche armate (Haganah, Irgun, Stern gang) e della Jewish Legion (Legione ebraica) nella prima guerra mondiale e poi della Jewish Brigade Group (la Brigata ebraica) nella seconda, per addestrarne i componenti alla guerra di occupazione della Palestina. Erano reparti dell’esercito inglese (ora spacciato per una partecipazione alla resistenza che non è mai avvenuta), sciolti dalla Gran Bretagna, dopo solo 3 mesi di guerra in Romagna, per attività antibritanniche, che poi, sono andate ad alimentare le formazioni terroristiche che hanno fatto saltare il comando del Mandato Britannico in Palestina, l’ambasciata britannica a Roma e assassinato Lord Moyne, il capo del Mandato inglese, e il rappresentante svedese dell’ONU in Palestina, conte Folke Bernadotte, perché voleva i “due popoli, due stati”. Auspicio ferocemente rifiutato dalle milizie ebraiche, che volevano per sé tutta la Palestina ed oltre (anche la Giordania altri territori del Levante, col biblico “dal Nilo all’Eufrate”), ripulita completamente dalla presenza palestinese.

I due passi successivi della pulizia etnica sono stati quelli della Nasra di Moshe Dayan, nella guerra dei sei giorni, e quello attuale di Netanyahu, che sapeva da un anno dell’attacco palestinese, ma ha lasciato fare per usarlo come “casus belli” (il 60% dei morti dell’attacco sono stati bruciati dal fosforo bianco, che Hamas non possiede, lanciato dagli elicotteri israeliani), alla ricerca della “soluzione finale”, definitiva, della pulizia etnica della Palestina, col genocidio dei palestinesi, che ha già fatto 65.000 morti, un terzo bambini e un altro terzo donne, uccisi con bombe, ma anche con uno sterminio per fame e sete, considerato un “crimine contro l’umanità” dalle organizzazioni internazionali. Sparando anche sui bambini che facevano la fila per avere qualcosa da mangiare, ed anche per mancanza di cure, per la distruzione degli ospedali.

Già Einstein e la Arendt avevano denunciato che il partito Herut (di Begin, erede di Žabotinskij e divenuto poi il Likud di Netanyahu), “nell’organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti nazista e fascista”. Il Ministro della Sicurezza israeliano, Ben Gvir, ha proposto di usare l’atomica per eliminare i palestinesi di Gaza ed è l’autore dell’attuale strategia di sterminio per fame e sete.

Questo è il calvario vissuto come esule da Ali Rashid nella sua vita di perenne instancabile militanza, fino alla fine, angustiata dalle attuali stragi di decine di migliaia di palestinesi innocenti, in particolare bambini. 

Ho avuto occasione di parlarne moltissime volte con lui perché quando ero segretario nazionale di Democrazia Proletaria: lui frequentava quotidianamente la nostra sede nazionale e dormiva nello stesso appartamento-foresteria di DP dove abitavo anch’io. Quando veniva a Roma Uri Avnery, morto a 95 anni nel 2018, il deputato della Knesset padre e coscienza critica del pacifismo israeliano, che è stato accusato di tradimento da Israele, perché è stato il primo a stringere la mano di Arafat, veniva ad abitare sempre da noi, per poi partecipare ad iniziative pacifiste, assieme ad Ali, in tutta Italia, ed eravamo diventati tutti e tre amici. Uri ci raccontava di stare dalla parte dei palestinesi proprio perché da giovane era stato un terrorista israeliano, ma poi se ne era dissociato, per divenire un pacifista fautore dei “due popoli, due Stati”, perché, proprio per quello che aveva fatto lui stesso e di cui s’era assolutamente pentito, comprendeva appieno le sofferenze dei palestinesi e difendeva il loro diritto ad esistere in pace in un proprio Stato. Quando al mattino uscivamo tutti e tre di casa per recarci assieme agli uffici della sede nazionale di DP, Uri ci indicava sempre un’auto del Mossad, che lo perseguitava costantemente ovunque, una cosa assai pericolosa, perché proprio a Roma gli agenti del Mossad hanno compiuto una lunga serie di omicidi mirati contro gli avversari politici e per loro lo eravamo tutti e tre.

Rashid era nato il 5 aprile 1953 ad Amman, da una famiglia di rifugiati palestinesi di Gerusalemme che il governo giordano costrinse a cambiar cognome da Rashid in Khalid, poi anche lì venne perseguitata dal massacro di oltre 5.000 palestinesi, scatenato da Re Husain, nel “settembre nero” 1970, con l’appoggio israeliano, statunitense e britannico, per eliminare la presenza organizzata dell’OLP in Giordania, sostenuta invece da Siria ed URSS.

In una vita d’esilio, Ali è stato segretario nazionale del l’Unione degli Studenti palestinesi (Gups), ha fatto parte dell’Unione degli scrittori e giornalisti palestinesi e dal 1987 è stato per molti anni il Primo Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia, dove ha fatto parte di Democrazia proletaria (1978-1991) e poi di Rifondazione comunista (1991-2025). È stato eletto nel 2006 deputato di Rifondazione comunista nella 15° legislatura, ed ha fatto parte della 3° commissione permanente Affari esteri e comunitari della Camera, e della Delegazione Parlamentare italiana presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea. Quando, come deputato italiano, ha potuto accedere al luogo dei suoi genitori in Israele, da cui, come palestinese, era altrimenti del tutto escluso, ha dovuto constatare la completa distruzione del villaggio ma anche la complessiva trasformazione del territorio, interamente occupato da moderne costruzioni dei coloni israeliani, che rendevano impossibile anche di poter riconoscerne il luogo dove il villaggio era un tempo situato.

Ali era dotato d’una forza instancabile che lo vedeva sempre costantemente impegnato, per informare e argomentare sulle tristi vicende della Palestina, lottando con i suoi scritti e interventi contro la disinformazione israeliana (del ministero dell’Hasbara, ovvero della propaganda, usata come strumento di guerra e di repressione), in cerca d’un futuro di pace, tutto da conquistare, per il suo popolo. Interveniva sempre, nonostante la gravità della situazione, argomentando con grande pacatezza e gentilezza, come costruttore di pace.

Negli ultimi tempi aveva svolto una serie di iniziative di dibattito in tutta Italia con l’associazione Articolo21, che prende il nome dall’omonimo articolo della Costituzione italiana per “promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero”, contro le manipolazioni mediatiche volte all’affermazione d’un “pensiero unico” del tutto falso. Ho incontrato, e abbracciato, Ali qualche mese fa a Milano, in occasione d’un Conferenza del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) a sostegno dei palestinesi contro l’aggressione genocida israeliana, e ci scambiavamo di frequente messaggi.

Rashid è morto improvvisamente, per un infarto, a 72 anni, il 14 maggio 2025, che coincide proprio, quasi simbolicamente, col 77° anniversario della Nakba.

È stato un grande, generoso militante politico, difensore della causa palestinese, che perde con lui un rappresentante di grandissimo rilievo politico e morale, dotato d’una grande umanità. Sicuramente il suo grande cuore è stato logorato dal dolore per il peso enorme della strage genocida israeliana, in particolare di donne e bambini, con armi fornite dall’occidente e nella indifferenza generale, salvo le poche voci di solidarietà delle Ong che proprio per questo vengono continuamente bombardate da Netanyahu. Intanto in Italia si viene arrestati anche solo per esporre una bandiera palestinese, mentre la “sinistra per Israele” nega il genocidio israeliano ed offre solidarietà a Netanyahu, colpito da un mandato di arresto emesso dalla Corte penale Internazionale per crimini contro l’umanità, che viene di fatto ignorato, anche dall’Italia. 

C’è da domandarsi quando potrà avvenire un sussulto di coscienza contro l’indifferenza generale, una rivolta morale contro lo sterminio della “soluzione finale” del terrorismo di stato israeliano.  Per questo tutte le persone di buona volontà devono, nel ricordo del grande impegno di Ali, di cui ci sarebbe un grande bisogno proprio adesso, continuare a lottare come lui a sostegno della libertà del popolo palestinese, contro la violenza ed i soprusi dei suoi oppressori israeliani. 

Esprimendo il mio grande dolore per la morte d’un grande amico, prendendo in prestito le parole di Dante, dico “Ali, io vorrei che tu ed Uri ed io fossimo insieme per incantamento”. ‘Sit tibi terra levis’.

Giancarlo Saccoman

Pubblicato il 31 Maggio 2025