GKN, quando una vertenza diventa di pubblica utilità
Intervista ad Eliana Como: “Non stiamo parlando più soltanto una lotta operaia, bensì della costruzione dell’immaginario collettivo e l’orizzonte di un futuro possibile”
Fin dai primi giorni la vertenza GKN ha mostrato di essere di straordinaria portata. In questa storia di lotta troviamo tutto ciò che ha fatto grande il movimento operaio. L’unità e la compattezza dei lavoratori che, costituendosi nel collettivo ‘Insorgiamo’, hanno saputo andare oltre i confini della mera rappresentanza sindacale, rendendo la loro vertenza aziendale un modello di opposizione politica contro un modello di capitalismo spietato e sregolato, che licenzia in un giorno 422 operai senza preavviso e senza alcun confronto preventivo con le organizzazioni sindacali. La resistenza di chi da anni non si arrende e non si allontana dai cancelli della fabbrica. La lucida propositività con cui si è tracciato dal basso un piano industriale alternativo. Il profondo legame con il suo territorio. Una vertenza che appartiene a tutti, dunque.
Ma, in realtà è molto, molto di più di una vertenza, come ci spiega la portavoce dell’Area ‘Le Radici del Sindacato’ Eliana Como, presente e parte attiva dei lavori del Festival della Letteratura ‘working class’ – organizzato dal Collettivo ex-GKN dal 4 al 6 aprile a Campi Bisenzio – come nella difesa dei lavoratori fin da quel maledetto 9 luglio 2021.
Qual è la portata della vertenza GKN per Radici del Sindacato e per tutta la Cgil?
Quella dei lavoratori ex-GKN è innanzitutto una grande vertenza operaia, con un presidio permanente davanti allo stabilimento che dura ormai da quasi quattro anni. Ma è anche un movimento per la giustizia climatica. E’ economia industriale, con un piano di rilancio possibile progettato con la consulenza universitaria. E’ politica industriale, con una legge regionale che individua il consorzio in grado di fare ripartire la fabbrica. E’ arte e cultura del lavoro: spettacoli teatrali, una canzone che cantiamo da anni in tutte le manifestazioni e, appunto, un festival di letteratura working class per il terzo anno di fila. E’ pubblica utilità.
Perché discutere di letteratura nel bel mezzo di una lotta così complessa?
Perché non stiamo parlando più soltanto una lotta operaia, bensì della costruzione dell’immaginario collettivo e l’orizzonte di un futuro possibile. Per questo il corteo che si è levato dal festival e ha raggiunto Campi Bisenzio è stato un momento straordinario e commovente, pieno di giovanissimi. Per l’emozione non sono riuscita nemmeno a cantare la canzone. La mente è corsa subito a quel giorno, quando ho avuto notizia dei licenziamenti e ho preso il primo treno per Firenze. Proprio mentre parlo, gli operai rimasti stanno ricevendo le lettere di licenziamento, ma questi tre giorni dimostrano che non sono affatto sconfitti. Anzi, rilanciano e guardano avanti.
Il cinema working class, con un capolavoro, fece andare la classe operaia in paradiso. E difatti da allora nella cultura non se n’è più parlato…
E invece la classe operaia è viva e vegeta, così come la sua cultura. Dipende da come la racconti, come la fai vivere, come costruisci quel senso di identità, quella profonda e nobile dignità che c’è in questa lotta e in molte altre lotte come questa, che in passato è anche capitato di perdere. Ma quando si elabora la sconfitta, la riflessione attribuisce il giusto senso alla lotta, ed aiuta ad alzarsi un minuto dopo, senza rimpianti e senza sensi di colpa. In questo, la narrazione come momento di confronto aiuta molto. Ken Loach ha salutato l’apertura del festival con un bellissimo messaggio: “Dobbiamo essere come i leoni quando si risvegliano dal sonno”. Trovo che queste parole racchiudano il vero senso del festival. Hanno provato a prendere per fame i lavoratori dopo 15 mesi senza stipendio e cassa integrazione. Ma sono ancora qui, davanti alla loro fabbrica, con i loro libri e con un piano di rilancio industriale.
Davide Vasconi
Pubblicato il 15 Aprile 2025