Francesco, il suo lascito “dalla fine del mondo”
“Il rischio maggiore oggi è che, a fronte della trasformazione della Chiesa in senso sociale e pacifista, si verifichi, dietro le pesanti pressioni della Chiesa statunitense, una involuzione negativa”
“Morto un Papa se ne fa un altro” è un detto che sottolinea da un lato una pretesa continuità dottrinale della Chiesa che renderebbe indifferente la figura del pontefice di turno e dall’altro anche una certa distanza fra la persona del Papa e la vita della gente comune. Ma è una frase che non s’attaglia certo alla figura del gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, figlio di emigranti piemontesi e professore di psicologia, divenuto Papa Francesco il 13 marzo 2013.
Una giunta militare, diretta dal generale Jorge Videla, ha deposto con un golpe il governo di Isabel Perón, e dato il via alla “guerra sucia”, col sequestro, tortura e uccisione contro i presunti oppositori, con oltre 30.000 “desaparecidos”, gettati vivi dagli aerei nell’oceano.
Bergoglio, allora prete gesuita, ha messo in salvo tutti i ricercati che poteva, e coloro che furono aiutati hanno svelato come padre Jorge agiva in silenzio per la loro salvezza. In un’indagine circa i suoi rapporti con i militari golpisti, un giudice argentino, Alicia Oliveira, ha stabilito la sua innocenza, affermando che “Bergoglio ha fatto espatriare tanti perseguitati, mettendo a repentaglio la sua vita. Aveva un’opinione terribile sulla dittatura, la stessa che avevo io”. Divenuto arcivescovo di Buenos Aires, promosse la chiesa come comunità aperta e fraterna, per l’assistenza ai poveri e malati, e venne definito “l’Evangelii nuntiandi” dell’America Latina.
Francesco è stato eletto Papa col voto determinante dei cardinali statunitensi, conservatori, con l’idea di contrapporre un Papa americano alla Curia romana, ma presto si trovarono in aperto dissenso con lui, sia sul piano religioso che su quello politico.
Per giudicare il suo operato occorre distinguere nettamente la sua opera all’interno della Chiesa da quella esercitata verso il mondo esterno.
Infatti all’interno avrebbe voluto avviare una serie di riforme, testimoniate dalla volontà di dare la comunione ai divorziati, ad avvicinare il mondo Lgbt (“chi sono io per giudicarvi?”, aveva detto), a dare un maggior ruolo alle donne nella Chiesa, ma è stato pesantemente frenato dal vescovato di destra, tradizionalista ratzingeriano, che l’ha pesantemente attaccato, definito Papa illegittimo, massone, socialista, tacciandolo perfino di eresia, invocando le sue dimissioni e minacciando delle scissioni.
In particolare, è stato duro lo scontro con la curia vaticana, durato per tutto il suo pontificato, che lui ha denunciato per egoismo, arrivismo, ostentazione della ricchezza, indifferenza per gli altri, accusandola di vivere in circoli chiusi, dicendo che ogni volta che veniva a Roma in Vaticano prima di essere eletto Papa, rischiava di perdere la fede. Ha detto che cercare di riformare la Curia “è come cercare di pulire la sfinge con uno spazzolino da denti”. Per questo ha scelto di vivere fuori dal Palazzo Apostolico, a Santa Marta, e di essere sepolto fuori dal Vaticano, in Santa Maria Maggiore.
Ha reso la Chiesa, con 1.400 milioni di fedeli (17,7%), in forte diminuzione in Europa e in crescita nel resto del mondo, con uno spostamento geopolitico che la vede sempre meno occidentalizzata e sempre più asiatica, africana e sudamericana. I Paesi con la maggiore presenza di cattolici nel mondo sono Messico e Brasile. Oggi l’80% dei cardinali è stata nominata da Francesco. Sono senza cardinali paesi cattolici tradizionali (Islanda, Cechia, Slovenia, Lituania, Ucraina), mentre ne hanno uno l’Austria, ma anche Mongolia, Thailandia, Birmania, Malesia, Brunei, Corea, Indonesia, Timor est, Singapore, Nuova Guinea, e ciò ha trasferito il maggior potere da un continente all’altro, in funzione della crescita futura dei fedeli, essenziale per sopravvivere.
Ha operato un’apertura verso il mondo islamico, incontrando ad Abu Dhabi il grande Imam di al Azzar, in Iraq l’Ayatollah Alìn Alistani e Ahmad al Taeb, una delle massime autorità islamiche sunnite; ha firmato un documento sulla fratellanza umana, per la pace mondiale e la convivenza fra i popoli, per il sostegno alle organizzazioni internazionali. Ha firmato con la Cina un accordo, analogo al “Patronato Regio” del Portogallo, per l’unificazione delle due chiese, ufficiale e sotterranea, con l’accordo sulla nomina condivisa dei vescovi.
Ma dove ha mostrato tutta la sua grandezza è nella geopolitica globale, dove è stato una guida spirituale mondiale, che andava ben oltre il mondo cattolico, per assumere un valore generale, rivolto all’intera umanità. In un mondo di personaggi politici meschini, ha avuto una visione globale e di lungo periodo. Come uomo “della fine del mondo”, ha ribaltato completamente la politica della Santa Sede, spostando l’orizzonte della Chiesa dal legame con il nord dell’occidente, seguito da Wojtyla e Ratzinger, al sud globale, delle periferie del mondo, dalla parte degli ultimi, dei poveri e degli emarginati. Distante, quindi, dalla narrazione occidentale, lontano sia dalle guerre dei dazi e contro gli immigrati di Trump, sia dalle guerre militari di Biden.
Appena eletto, ha mostrato di aver ben chiara la sua missione, di una chiesa in uscita verso il mondo, anticapitalista, a favore degli sfruttati ed emarginati, recandosi a Lampedusa, per incontrare i migranti del Terzo Mondo; dicendo “sono miei fratelli”, chiedendo la loro accoglienza, contro un Mediterraneo diventato una tomba. E poi ha subito incontrato i carcerati, aprendo poi una “Porta Santa” del Giubileo a Rebibbia, recandovisi anche il giorno prima di morire.
Nell’enciclica “Fratelli tutti” del 2020 ha scritto che “un’idea dell’unità di popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi, fa sorgere in vari Paesi nuove forme di egoismo e di perdite di senso sociale, mascherata da una presunta difesa degli interessi nazionali”.
Ha contestato il capitalismo sfrenato, si è schierato contro i dogmi dell’ideologia neoliberista, la speculazione finanziaria e il profitto fine a sé stesso, prodotto dalla devastazione ambientale e dalle guerre, contro lo sfruttamento, le diseguaglianze economiche di un individualismo a danno degli altri, lo sfruttamento occidentale del terzo mondo. Ha osteggiato i sovranisti populisti oggi in ascesa nel mondo.
Nell’enciclica “Laudato sì” ha chiesto la cura della casa comune, contro la crisi climatica, il peccato di inquinamento e il consumismo sfrenato, che distrugge il pianeta. La sua più grande battaglia è un messaggio di pace contro la guerra, per la pace universale e il disarmo, in un mondo che va verso la guerra. Ha coniato il termine della “Terza guerra mondiale a pezzi”, a partire dalle periferie impoverite, ma poi l’ha dichiarata ormai quasi mondiale.
Ha criticato i morti e le ingiustizie nell’indifferenza generale, è il solo statista mondiale che ha preso chiaramente posizione contro il genocidio di Israele nei confronti dei palestinesi, ha denunciato l’origine del conflitto in Ucraina perché “la NATO è andata ad abbaiare alle porte della Russia”, ricordando che per i missili a Cuba Kennedy ha minacciato la guerra nucleare mondiale.
Ha promosso una linea pacifista e internazionalista costruita sul dialogo, confronto e ascolto. È stato un instancabile negoziatore di accordi, con un ruolo centrale nella diplomazia mondiale, per spegnere i fuochi delle guerre dimenticate, di Obama con Cuba, di Maduro con l’opposizione, fra Congo e Sud Sudan, fra Tagikistan e Kirghisistan, di Myanmar con i Rohinga, contro gli attentati in Sri Lanka, ecc.
Nel messaggio “urbi et orbi” di Pasqua 2025, il giorno prima della morte, ha ribadito che nessuna pace è possibile senza un vero disarmo, contro la corsa generale al riarmo.
All’estero ha usato sempre la lingua italiana, facendone di fatto la lingua ufficiale della Chiesa, non solo perché era il vescovo di Roma, ma perché la diffusione delle maggiori lingue mondiali è stata il frutto di dominazioni imperialistiche.
Il rischio maggiore oggi è che, a fronte della trasformazione della Chiesa in senso sociale e pacifista, si verifichi, dietro le pesanti pressioni della Chiesa statunitense, una involuzione negativa, considerando anche il fatto che oggi la difesa delle questioni sociali e dei migranti interessano meno anche alla sinistra tradizionale.
Giancarlo Saccoman
Pubblicato il 30 Aprile 2025