Colpire gli insicuri per garantire i sicuri
“La sicurezza è una bandiera che la destra fa sventolare dal pennone più alto e la narrazione, o meglio la propaganda, è così invasiva da catturare anche la sinistra più moderata”
Se volessimo sintetizzare il profilo di questo governo, la sua visione e la sua azione, in due parole, potremmo utilizzare queste: “Decreto-Sicurezza”. Entrambe utili e dense, e ci aiutano a capire.
Il Decreto come strumento legislativo scelto, che ci parla già esplicitamente della vocazione autoritaria del Governo Meloni e della sistematica svalutazione del ruolo del Parlamento. Il Decreto, secondo la Costituzione, è uno strumento che i Governi possono usare soltanto in situazioni e materie di “comprovata necessità ed urgenza”.
Da Craxi in poi, con l’accentuarsi del leaderismo, del maggioritarismo, del decisionismo e della governabilità, tutti i Governi hanno abusato nell’uso della decretazione, ma con il Governo Meloni si è passato ogni limite, nel senso che più del 90% della produzione legislativa è decretazione. In sostanza, la Meloni governa per decreto: non avendo neanche la giustificazione dei governi precedenti, che avevano una fragile ed incerta maggioranza parlamentare, lei si vanta di avere una solida e stabile maggioranza.
Quindi la scelta della decretazione non ha né i requisiti di necessità, né quelli dell’urgenza, bensì risponde soltanto ad una concezione autoritaria del potere e ad una postura incostituzionale. Già soltanto per il metodo, ci sarebbe stato bene un richiamo del Presidente della Repubblica, tanto più che, in questa specifica circostanza, si è voluto trasformare in Decreto un precedente Disegno di Legge che aveva cominciato l’iter parlamentare ed aveva trovato non poche difficoltà nelle commissioni competenti, in particolare proprio nella commissione Affari Costituzionali.
A partire da questo ragionamento sull’abuso della decretazione, si potrebbe aprire una parentesi sullo strumento-referendum, essendo che esiste, a nostro avviso, un collegamento diretto tra i due aspetti. Infatti, quasi tutte le norme sulle quali si è chiesto il referendum (4 su 5, la quinta sulla cittadinanza arriva dopo che ben 4 legislature hanno cestinato decine di proposte di legge di modifica delle norme sulla cittadinanza vecchie di 33 anni, tra cui anche una proposta di legge d’iniziativa popolare che aveva raccolto oltre 100.000 firme) derivano da Decreti legge presentati dal Governo, senza un confronto con le parti sociali nonostante si trattasse di materie inerenti il lavoro, spesso approvati dal Parlamento senza un reale confronto di merito, addirittura con voto di fiducia. Quindi si tratta di norme che difettano di un iter democratico e partecipativo, da cui scaturisce naturalmente il bisogno fisiologico di un vaglio referendario, salvo accorgersi che l’erosione della nostra democrazia costituzionale è arrivata al punto di non garantire una consultazione referendaria paritaria, trasparente e contendibile. Ci sarebbero da rivedere infatti vari aspetti, a partire dal quorum, perché un conto è che votino oltre il 90% degli elettori, come accadeva al tempo dei padri costituenti, un conto è oggi, visto che, mediamente, non vota circa il 40% degli elettori.
Del resto, la scarsa affluenza alle urne per le elezioni politiche ed amministrative è stata aggirata con premi di maggioranza che l’attuale governo vorrebbe addirittura accentuare, riducendo il quorum per l’elezione diretta dei sindaci ed eliminando il doppio turno. Ci parrebbe invece molto più consono, e credibile per rivitalizzare la nostra democrazia in crisi di partecipazione, ridurre il quorum nei referendum abrogativi, che è l’unico strumento, insieme alle proposte di legge d’iniziativa popolare, nelle mani dei cittadini. È evidente che non si incentiva la partecipazione al voto mortificando i cittadini che vanno a votare, né con norme elettorali che garantiscono solo gli eletti e non incoraggiano gli elettori.
Guarda caso, il ‘Jobs act’ è originato da un Decreto Legge del Governo, così come la legge “Biagi”, la “Fornero”, per non dire delle norme sugli appalti.
La seconda parola-chiave che citavamo all’inizio, “sicurezza”, è altrettanto indicativa: non c’è provvedimento di questo governo che non abbia agitato ed agito il tema della sicurezza. Hanno cominciato con i rave party, poi con l’immigrazione. Successivamente è stata la volta delle droghe leggere, delle modifiche al codice della strada, arrivando ad oggi, ossia ad un ultimo decreto appena convertito, che interviene a 360° sull’insieme della società.
La sicurezza è una bandiera che la destra fa sventolare dal pennone più alto e la narrazione, o meglio la propaganda, è così invasiva da catturare anche la sinistra più moderata, che si rimprovera di non averla inserita tra le proprie bandiere.
Chi non è d’accordo con la ‘sicurezza’? Ma il problema è cosa s’intenda con questa parola e come la si voglia raggiungere.
La strategia del governo di destra è colpire gli ‘insicuri’ per garantire più sicurezza ai ‘sicuri’: una visione classista della sicurezza, dove si persegue l’obiettivo di dare sicurezza ad una parte a discapito di un’altra. Per essere convincenti, questa strategia deve cercare di dimostrare che, delle due parti, una è ‘per bene’, mentre l’altra è ‘criminale’. In quest’ultimo provvedimento ci sono 14 nuovi reati e 9 nuove aggravanti, ma in generale il governo Meloni, da quando è in carica, ha istituito 48 nuovi reati.
Si criminalizzano gli immigrati e la cosa non fa neanche troppo scandalo. Ma l’opera di criminalizzazione si è spinta oltre, verso le proteste dei lavoratori, dei giovani, degli studenti e anche molto oltre, verso i volontari dei diritti umani, verso i giornalisti, persino verso le autority di controllo della legalità (caso Striano-Laudati). Da una parte si criminalizza, dall’altra si de-criminalizza (è il caso dell’abuso d’ ufficio o del traffico d’influenza, e su questo versante la cosa più grave ed eclatante riguarda la de-criminalizzazione di reati gravissimi in materia di Servizi Segreti, i quali, secondo l’art. 31 di questo provvedimento, possono non solo infiltrarsi in associazioni terroristiche, ma addirittura dirigerle ed armarle. Era persino contemplata l’idea che potessero addirittura costituirle, ma questa fattispecie è stata omessa senza nulla togliere alla possibilità di utilizzare organizzazioni già costituite e magari dismesse o dormienti e quindi aggirare l’ostacolo formale senza intaccare la totale agibilità criminale sottocopertura. Fa rabbrividire il pensiero di ciò che può accadere dopo l’approvazione di questa norma. Ma facendo un percorso di memoria finalizzato alla proiezione nel futuro, si può affermare che se in passato questa norma fosse stata in vigore, non si sarebbero scoperte le trame dei “servizi deviati” delle stragi e della P2. Quindi, non solo con questa norma si vogliono ‘scudare’ i servizi segreti (che sono già ‘scudati’ dalla segretezza), ma si vuole impedire alla magistratura di indagare e quindi esercitare il suo autonomo ed indipendente ruolo costituzionale. Infine, questa norma fa pensare non solo ad un ipotetico futuro, ma sembra messa apposta per ‘scudare’ trame oscure e comportamenti debordanti, che sono già in corso concretamente.
Insomma, l’insieme di questo Decreto è indigeribile: le forze sociali, il mondo sindacale ed associativo dovrebbero aprire una vertenza tempestiva e ad oltranza, utilizzando tutti gli strumenti possibili, per evitare tolleranza ed assuefazione. Troppo spesso in passato si è indulto verso alcune plateali mistificazioni, o si è rimasti silenziosi. Due esempi? Il primo riguarda i femminicidi. Sembra un tema bipartisan, mentre non è vero che il governo abbia fatto tutto il possibile. Anzi, sembra fare il contrario di quello che occorrerebbe. Servirebbe che nelle scuole si educasse alle relazioni affettive, come fanno in tanti altri paesi, con indubbi risultati statistici; invece sono stati dirottati i pochi fondi che erano stati destinati per progetti educativi sperimentali su un altro fondo per l’infertilità maschile. Servirebbe contrastare il maschilismo presente nella società e promuovere la parità di opportunità e di condizioni professionali e sociali; invece viene negata la presenza del maschilismo. Servirebbe studiare azioni di prevenzione, mentre si aggravano le pene: peraltro, l’aggravante di femminicidio interviene sul reato apicale dell’estrema violenza esercitata sulla donna, privandola della vita. Mentre sarebbe necessario, ammesso che sia efficace, magari come stigma simbolico, punire più severamente i gesti e gli atti di violenza preliminare, sui quali invece c’è un’indulgenza culturale e morale, prima ancora che penale, che di conseguenza diventa corresponsabile dell’escalation di violenza. Occorre su questo alzare il livello dello scontro culturale e politico.
Il secondo esempio è l’immigrazione: basta mutismi ed imbarazzi di fronte alla scemenza degli immigrati che delinquono in percentuali stratosferiche, quanto irreali, utilizzando dati del Ministero degli Interni sulle denunce raccolte dai posti di polizia. Ma come? La ministra Santanchè è innocente fino al terzo grado di giudizio mentre gli immigrati sono colpevoli semplicemente perché hanno avuto una denuncia? Il 90% di quelle denunce è carta straccia, lo si evince dalla Corte di Cassazione, visto che nella statistica delle sentenze passate in giudicato la percentuale degli immigrati ‘colpevoli’ è molto più bassa. Anche su questo terreno, sarebbe necessario uno scontro politico corpo a corpo tra destra e sinistra, a faccia alta e schiena dritta. Per far prevalere la verità e la giustizia.
Pietro Soldini
Pubblicato il 13 Giugno 2025